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Recensione: “Guerre corsare nel Mediterraneo. Una storia di incursioni, arrembaggi, razzie”

Quando a un pirata concedi una formale autorizzazione statale, non è più un fuorilegge… diventa un corsaro!Recensione: "Guerre corsare nel Mediterraneo. Una storia di incursioni, arrembaggi, razzie" Recensione: "Guerre corsare nel Mediterraneo. Una storia di incursioni, arrembaggi, razzie"

Con la “lettera di corsa”, in cambio della cessione di una parte dei guadagni chiunque poteva essere autorizzato ad assalire e rapinare le navi mercantili delle nazioni nemiche.
Pur comportandosi come un pirata, quindi, il corsaro svolgeva, in linea di principio, un’attività legittima e non criminale, ed era autorizzato a uccidere persone… ma solo in combattimento.

In poco più di 200 pagine Salvatore Bono racconta in Guerre corsare nel Mediterraneo la storia della guerra da corsa e della pirateria che vide contrapposti da una parte i Barbareschi del Maghreb concentrati soprattutto nei porti di Algeri, Tunisi e Tripoli e dall’altra le marine cristiane che solcavano il Mediterraneo.

Un agile saggio che sintetizza una vicenda che ebbe una durata eccezionalmente lunga, e si protrasse dagli inizi del XVI secolo fino ai primi decenni del XIX.

La faccenda potè dirsi conclusa solo nel 1830 con la conquista francese dell’Algeria.
Guerre corsare nel Mediterraneo  è un lavoro storico certosino, svolto in maniera originale perché anziché prediligere una narrazione cronologicamente ordinata, si sviluppa per capitoli dedicati ai differenti aspetti delle vicende dei corsari nel Mediterraneo: la vita degli equipaggi, la vendita del bottino e la gestione delle navi predate, l’ascesa e il declino degli Stati barbareschi, le imprese di quelli europei, l’armamento e la tipologia delle navi, e così via. Il tutto sapientemente condito da testimonianze di memorie corsare.

Particolarmente affascinanti sono le descrizioni delle regole, le pratiche e i rituali della vita corsara.
Un brano tratto dalle Memorie di Alonso de Contreras racconta:
“E’ vero che avevamo inalberato bandiere e insegne turche e che suonavamo alla turca tamburini e oboe. Grazie a ciò riusciamo a avanzare sino a gettar l’ancora vicino a terra; gli abitanti della città (di Hammamet) escono quasi tutti per venirci incontro, uomini, donne e bambini. Gli uomini incaricati del colpo erano trecento, tra i quali ero anch’io. Agiscono con rapidità, attaccano la porta, la scardinano, ed ecco presa la città. Catturiamo tutte le donne e i bambini, alcuni uomini (quasi tutti erano fuggiti); la saccheggiamo: un misero bottino, poiché son povera gente. Oltre al bottino, imbarchiamo settecento anime!”

Ciò a testimoniare una perfetta simmetria dell’operato dei corsari musulmani con quella dei corsari europei. Una realtà spiacevole che suscita di certo imbarazzo ai tempi d’oggi: i corsari nostrani, ricordati sempre come coraggiosi difensori della cristianità, erano in realtà autori di crimini e scorrerie degne dei loro colleghi stranieri.
Questi ultimi erano in gran parte magrebini insediati ad Algeri, Tunisi e Tripoli, ma anche l’impero ottomano aveva i suoi corsari.

Uno sguardo chiarificatore alla poco conosciuta attività dei corsari europei (italiani, francesi, maltesi, spagnoli) contro gli stessi europei.
Nel libro di Bono si cerca di fare luce su menzogne e stravolgimenti storici, con una ricostruzione seria e imparziale che potrà far arricciare il naso a qualche strenuo difensore dei corsari dei nostri lidi.
Negli ultimi due capitoli si affronta il delicato tema della schiavitù che sarà poi ripreso e ampliato in un saggio successivo dello stesso autore.

Resta l’incanto di questi leggendari e discutibili personaggi, che facevano scorribande nelle acque e lungo le coste del Mediterraneo, soprattutto fra la sponda cristiana e quella musulmana, dal Cinque al Settecento: corsari, non pirati né predoni, ma guerriglieri del mare che agivano con patenti statali.

Con l’orecchino, il forziere, la bandiera, un corredo romantico completo, con un surplus di nostalgico esotismo, i tanto temuti corsari sono spesso protagonisti di fervide fantasie.

Che tipi fossero lo possiamo intuire dalle loro biografie. Uno per tutti un certo Gabriello Pulis, nelle “Disavventure marinaresche ossia Gabriello disavventurato”, leggiamo:
“Per non star ozioso e passare il tempo con qualche onesta ricreazione, si finse una volta d’esser astrologo, e come il volgo è facile a dar fede a simili cialtroni, ed egli aveva qualche cognizione del moto dei pianeti, concorsero tutti i vicini ad ascoltarlo”.
In altra occasione “soggiunse d’essere fisionomo e che dai segni, o d’altra parte, mostrava di saper gli affetti, i diletti e le inclinazioni loro”.

Coraggiosi e abili, di capacità pratiche, qualche volta uomini di cultura, spesso prede di sorti crudeli, i corsari, in fatto di fascino non lo hanno mai perso.
Nell’immaginario collettivo, nei mutati tempi son tornati d’attualità nelle scorribande che abbandonato il mare navigano su internet.

Particolarmente interessante è anche la personalità dell’autore, Salvatore Bono, professore emerito dell’ Università di Perugia.
Nato a Tripoli l’ 11 dicembre 1932 da famiglie di medici maltesi e siciliani emigrati nella provincia turca sul finire dell’Ottocento, nel 1940, durante il conflitto mondiale, Salvatore Bono con la famiglia è venuto come ‘profugo’ in Italia, dove ha compiuto gli studi.
L’ attività di ricerca di Bono è iniziata ‘casualmente’ nel 1952, sul tema della guerra corsara e della schiavitù nel quadro della storia generale del Mediterraneo, con indagini nella documentazione dell’Opera del Riscatto, presente nel fondo Arciconfraternita del Gonfalone dell’ Archivio Segreto Vaticano.
Componente del primo Comitato consultivo (2004-2008) della Fondazione euro-mediterranea per il dialogo delle culture, istituita dall’ Unione europea nel 2004, nota anche come Fondazione Anna Lindh; Bono è stato il responsabile scientifico del progetto chiamato HistMed (storia del Mediterraneo).
Tale progetto, presentato dall’Italia e approvato nell’aprile 1998 dal Comitato euro-mediterraneo, è fondato sulla convinzione che una riflessione e divulgazione della storia mediterranea al di là di ricostruzioni e interpretazioni chiaramente di parte, può efficacemente contribuire al superamento di incomprensioni e ostilità e per contro al rispetto e all’apprezzamento reciproco fra popolazioni e culture presenti nel Mediterraneo.

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