Vai al contenuto

Recensione: “Il lupanare di Pompei” – La mercificazione dell’emotività

Recensione: "Il lupanare di Pompei" - La mercificazione dell'emotività Recensione: "Il lupanare di Pompei" - La mercificazione dell'emotivitàIl lupanare di Pompei. Sesso, classe e genere ai margini della società romana
Sarah Levin-Richardson
Editore Carocci
Collana Frecce

Il latino propone oltre cinquanta sinonimi di meretrix.
Questa proliferazione di parole che indicano una medesima attività, è la traslazione nel linguaggio parlato e letterario, sia della diffusione del meretricio nella società romana, sia dell’incidenza sul suo immaginario collettivo. La lingua è da sempre uno degli strumenti fondamentali con cui esplorare il vissuto materiale e ideale della società che la parla. Fa da cartina tornasole, rilevando mentalità e cultura, percezione e ampiezza di fenomeni, realtà e immaginario di una popolazione.

La città di Pompei, una città fermata all’improvviso nel 79 d. C. dalla lava dell’eruzione del Vesuvio, con i suoi monumenti, le sue case, i suoi templi e i suoi abitanti, è una storia unica. Una storia arrivata incredibilmente fino a noi, che possiamo percorrere nelle sue vie perfettamente conservate. Nella trama urbana, all’incrocio tra due strade secondarie, si erge il Lupanare.

Non è facilissimo da individuare, ma come gli antichi pompeiani, possiamo arrivarci seguendo il percorso segnato dai falli incisi sul basolato o su alcune pietre inserite nelle facciate delle case. Il lupanare si sviluppa su due piani ed era riservato esclusivamente all’esercizio della prostituzione. Non che in città non esistessero altri bordelli ma in genere erano situati nelle camere superiori di osterie e case private e non dislocati in un edificio apposito.

Sarah Levin-Richardson, ne traccia un’analisi minuziosa, che oltre a indagare gli aspetti materiali, relativi all’architettura e all’iconografia, ne scandaglia il valore sociale e umano. Ne vien fuori una storia struggente e drammatica di umanità in vendita, una mercificazione dell’emotività.

Nel dettaglio sono descritte le 5 celle al piano terra e le 5 al piano superiore, dove in ognuna un letto in muratura era ammorbidito da stuoie o materassi. È in questo ambiente angusto che si consumava il triste mercato del desiderio. Nel nostro immaginario gli antichi romani sono inclini a divertimenti spietati, a uno stile di vita sontuoso e, in particolare ai piaceri comuni della carne. Gli abitanti di Pompei non erano diversi. La prostituzione era consentita sia a livello sociale che legale, era normale per gli uomini romani dedicarsi a regolari visite ai bordelli. I bordelli all’interno della città, erano considerati alla stregua di qualsiasi altro servizio.

Partendo da ritrovamenti di cocci di vetro e suppellettili, l’autrice pone l’accento su ciò che trasformava il Lupanare da “negozio del piacere” in coinvolgente esperienza sensoriale per i visitatori: gli arredi e i decori. Tessuti delicati e candele accese per creare un bagliore romantico, piatti e bicchieri in prezioso vetro, nei quali erano serviti cibi e bevande dalle stesse prostitute; ma principalmente grandi affreschi raffiguranti atti sessuali tra donne e uomini meravigliosi, che accrescevano il desiderio e la fantasia. Queste superbe decorazioni a soggetto erotico sistemate sulle porte di accesso alle varie stanze, erano forse una “reclame” delle prestazioni in cui la prostituta alloggiata eccelleva, oppure un semplice modo per distinguerle le une dalle altre. In un luogo dove si consumavano gli “appetiti” sessuali, questi dipinti erano una sorta di menu con diverse posizioni visualizzate in offerta nell’edificio.

Ma la verità che trapela da ogni pagina di questo saggio è che la vita delle prostitute all’interno del Lupanare era in realtà abbastanza straziante. La maggior parte di coloro che si prostituivano, sia donne che uomini erano schiavi. Oltre a non essere pagati, le condizioni di vita in cui lavoravano erano disumane. Le piccole stanze erano in realtà molto simili a celle anguste e senza finestre in cui essi trascorrevano la maggior parte del loro tempo. Così piccole che potevano contenere solo un letto di pietra con sopra un materasso sottile. Confinati al loro interno, gli “operai del sesso” raramente vedevano il mondo esterno, essendo sempre sotto il completo controllo del proprietario del bordello. Nonostante questo stile di vita crudele, i lavoratori dovevano mostrare un volto sorridente. Sebbene il sesso fosse un’esperienza accettata e naturale per gli uomini di Pompei, chi si prostitiva non poteva proporsi per qualsiasi lavoro alternativo e rispettabile, quindi era isolato e recluso nella classe inferiore della società.

Tuttavia tra le pareti del Lupanare c’era anche spazio per la condivisione e per il senso di comunità. Tutto questo si coglie in quel patrimonio di iscrizioni dipinte o graffite sui muri dell’edificio, create da chi ci lavorava, ma soprattutto dagli avventori. Iscrizioni che per un fortuito gioco del destino, ci restituiscono l’immagine di una comunità “viva”, fatta di sentimenti e di passioni, una comunità che ci racconta come siamo stati, come continuiamo a essere e come, forse, saremo per sempre.

Il libro dedica a questi graffiti un intero e articolato capitolo, corredato da una moltitudine di fotografie, alcune realizzate dall’autrice stessa. È tra queste righe che si coglie la comprensione umana della studiosa verso la storia della condizione femminile nel mondo antico, e nello specifico della prostituzione e della schiavitù. La sua ricerca mira a rivelare le connessioni tra l’ambiente fisico, e quello sociale ed emotivo all’interno del bordello. Recupera i contorni dell’agire per gruppi emarginati delle prostitute maschili e femminili, e del loro contibruto alla moderna teoria femminista e queer.

In nessun altro posto, come a Pompei, è possibile recuperare attraverso gli antichi segni lasciati dagli esseri umani sulle pareti dei luoghi dove essi sostarono, seppur brevemente, il carattere e l’essenza di un’umanità dal sentire così diverso dal nostro, eppure così simile a noi.

Il volume, splendidamente illustrato, si completa di un’appendice con un ricco apparato di note, bibliografia, e rimandi, per una conoscenza approfondita dell’edificio più visitato di Pompei.

 

Autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Send this to a friend