Chi di voi è tanto antico da sapere che cos’era e, soprattutto, come era fatta una lanterna magica, senza dover ricorrere all’aiuto di Wikipedia?
Io appartengo a questo manipolo di sopravvissuti in via di estinzione. L’ho anche costruita, la mia brava lanterna magica. Bastava una scatola da scarpe con il suo coperchio, un paio di specchietti, una lampadina e… qualcos’altro che non ricordo più. Un elemento indispensabile era la fantasia o meglio l’immaginazione, quell’attività proiettata nel fantastico di cui oggi non siamo più capaci.
Ci hanno pensato Loretta Bellesi Luzi e Pierluigi Canzi a regalarci le emozioni intime di cui era capace la lanterna magica. Provengono da esperienze diverse, i due autori, possiedono diversi specifici pedigree.
Donna di teatro, lei, drammaturga e regista, alleva giovani attrici. Incisore di acqueforti lui e, con la medesima tecnica di incisore, poeta.
Conosco Loretta da anni, ci vediamo d’estate. E vado incontro a ogni estate con la gioia e la certezza di potermi misurare con la sua coltezza, con la sua vis polemica.
Non conoscevo Pierluigi. Lo conosco ora, con questa Lanterna magica. Che mi ha stimolato ad approfondirne la conoscenza andando a leggere le sue poesie. Che sono belle, bellissime. Che suscitano immediata empatia. Non posso che sentirmi solidale con uno che, colloquiando con il suo gatto (L’ultima luna di marzo), dice: Ci accomunava / lo stile ineguagliabile dei pigri.
Ma torniamo al libro. Non so come si sono incontrati e come hanno percorso il comune itinerario che li ha condotti a progettare e poi mettere insieme il collage di pennellate, di fiammate, di evocazioni, di ombre cinesi di cui è fatta la loro Lanterna magica (Effigi edizioni). Ce lo racconteranno loro.
Posso però riconoscere di primo acchito la loro fiorentinità. Che – lasciatelo dire a me che vengo dal Nord e che, come il buon Manzoni, ho avuto bisogno di venire fin qui per imparare a parlar bene – è innanzitutto purezza linguistica. Alla buon’ora! Siamo stufi di scorciatoie linguistiche e di emoticon.
Il suo inutile lavoro di incisore (sempre da L’ultima luna di marzo) ha addestrato Pierluigi Canzi a una capacità espressiva nitida, pulita. E in bianco e nero, come erano in bianco e nero le fotografie di famiglia di inizio ‘900 che ancora mi affascinano: i miei nonni che salutano dalla cima del Bernina con il lungo bastone da montagna esibito come un’arma o una bandiera. Insomma, se amate le foto in bianco e nero che sicuramente i vostri progenitori vi avranno lasciato in eredità perché allora altro non c’era da lasciare ai posteri di sé, se amate quelle immagini non potrete non intenerirvi alle descrizioni e alle rievocazioni da incisore di Canzi (C’era ancora nel piccolo ingresso il vecchio dipinto di scuola lombarda che il nonno aveva comprato agli inizi del Novecento, e lungo il corridoio che portava alla cucina, vero cuore della casa, c’erano ancora tutte le cose, quante cose, che negli anni lo avevano guardato e sorvegliato).
Più malandrina, più irriverente Loretta. Soprattutto con la punteggiatura: dispettosa. Ma credo stia proprio qui la sua forza espressiva. Dimostrazione che purezza e coltezza linguistiche possono farsi beffe della punteggiatura.
Ma il mosca cieca con la punteggiatura non è, per Loretta, un gioco a se stante. È funzionale alla sostanza delle cose, ai sogni, agli incubi, alle costruzioni oniriche, ai risvegli e ai tonfi nella realtà di cui son fatti i suoi racconti.
Racconti? No, non sono racconti. Non lo sono quelli di Loretta, non lo sono quelli di Pierluigi. C’è, nella Lanterna magica, tutta l’arte del saper raccontare, che è arte rara. Ma non aspettatevi racconti, nel senso di storie. Anche quando sembrano storie (Nilvio, Vox, di Loretta), storie in realtà non sono. Perché prevalgono sempre la componente onirica, il magma surreale. E anche tanta, tanta nostalgia. Di cui abbiamo, anche se non lo sappiamo, tutti un maledetto bisogno.
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