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Recensione: “L’Italia sullo schermo”. Scrivere la storia con la luce

Recensione: "L'Italia sullo schermo". Scrivere la storia con la luce Recensione: "L'Italia sullo schermo". Scrivere la storia con la luce.L’Italia sullo schermo.
Come il cinema ha raccontato l’identità nazionale.
Gian Piero Brunetta
Carocci Editore

Quando nel 1915 fu presentato alla Casa Bianca il film Nascita di una nazione di Griffith, il presidente Wilsons esclamò: “è come scrivere la storia con la luce”.
Che queste parole fossero veramente sue o di un giornalista dell’epoca non importa, rimane il fatto della percezione di un nuovo strumento per narrare la Storia.

Su questo aspetto proprio della nuova arte, Gian Piero Brunetta, indirizza lo sguardo de L’Italia sullo schermo.
Sorprende quanto un saggio possa diventare un’avvincente storia di speranze, successi e cadute. La prosa snella e la capacità narrativa dell’autore, rendono per immagini, tutta la storia della costruzione ideologica dell’Unità di un Paese, forse mai veramente unito, srotolando le pellicole dei cento anni e più del cinema Italiano.

Il cinema poneva fin dalla sua nascita, le premesse di un nuovo rapporto, sicuramente più ambiguo e complesso fra storia e documenti. L’evento storico spesso viene usato dal cinema come punto di partenza per produrre i suoi miti. L’ambiguità della rappresentazione cinematografica si presta con tutte le elaborazioni più artificiali a dire una cosa e anche il suo contrario, mentre paradossalmente può costituire un documento storico di straordinaria evidenza, sia per i temi che affronta, sia per lo stile, sia per la posizione ideologica nel confronto di avvenimenti ad essa contemporanei oppure lontani.

La sera del 20 settembre del 1905, viene proiettato nel piazzale di Porta Pia La presa di Roma, girato in quello stesso anno dal pioniere del film nazionale, Filoteo Alberini. L’opera segna l’avvio dell’industria cinematografica italiana.
Filoteo Alberini, inventore di macchine da presa e obiettivi meccanici, è da considerare il Lumiére tricolore. Nella ricostruzione storica dell’assalto di Porta Pia, condotta dai soldati italiani nel 1870 contro le truppe pontificie, apre la lunga storia del cinema italiano. Che il soggetto nasca a partire dallo spirito nazionale e riguardi l’unità d’Italia annuncia, a ben vedere, cento e più anni di cinema in cui i temi dell’identità nazionale appaiono i più frequenti, direttamente e indirettamente. La nascita di una cinematografia nazionale non si deve mai al caso.

Parallelamente alla nascita del cinema, in Italia nasce il Divismo, prima che in America, prima anche che in Francia, prima che in tutto il resto del mondo. E fu curiosamente, una prerogativa quasi prettamente femminile. In poco tempo le attrici teatrali iniziarono a recitare al cinematografo diventando le prime Dive di celluloide della Storia del Cinema: Lyda Borelli, Pina Menichelli, Francesca Bertini, Leda Gys, Soava Galloni. Il divismo femminile nell’inizio del ‘900 era fenomeno inusuale, considerato la posizione subordinata della donna nella società profondamente maschilista e patriarcale dell’epoca.

Solo in italia, infatti, prima dell’avvento del sonoro, si era sviluppato il cosiddetto divismo al femminile, e non perchè la cultura sociale italiana dell’epoca fosse aperta alla parità dei sessi. Il divismo nel nostro paese subì sicuramente l’influenza delle evoluzioni sociali e artistiche che investirono l’Italia giolittiana. Il ruolo della donna, nell’ambito di una piccola rivoluzione sessuale (più letteraria che reale), cambiò parallelamente all’esplosione dei movimenti artistici d’avanguardia (ad esempio il Futurismo) e alla febbre dannunziana che colpì i lettori della classe borghese.

Fu il talento critico di Antonio Gramsci ad avvertire con un fulminante incipit – ‘In principio era il verbo… No, in principio era il sesso’-, quanto la carica espressiva di una Lyda Borelli ponesse uno sconfinamento pericoloso tra la sfera sessuale e quella del raziocinio. Gli italiani con il cinema per la prima volta vedevano sullo schermo immagini in movimento dei propri desideri e delle proprie paure.

La collettivizzazione dell’idea, questa può essere considerata la fruizione del cinema dei primi anni. Le immagini proiettate su uno schermo avevano un significato semplice e immediato. Fu così che la fiorente industria cinematografica italiana intuì come la proiezione potesse essere un ottimo modo per diffondere solidarietà e sostegno alla causa italiana nell’imminente conflitto mondiale. Una vera e propria propaganda per immagini che invitava velatamente i cittadini a sostenere economicamente lo sforzo italiano attraverso la sottoscrizione del Prestito Nazionale.

Il cinema attinge il proprio linguaggio dai modelli letterari contemporanei, così farà anche nel descrivere il fenomeno dell’emigrazione di massa, enfatizzando gli elementi melodrammatici del distacco traumatico dalla famiglia e del paese, come viaggio verso l’ignoto in cui è possibile perdersi per strada.
Sarà il cinema di regime fascista che addosserà alla figura dell’emigrante non solo i rimorsi per aver abbandonato gli affetti familiari ma anche l’imprudenza di aver minato la coesione nazionale e aver tralasciato gli obblighi verso la patria, colpe che potranno essere espiate solo attraverso un ritorno dai tratti epici. La necessità di costruire l’immagine di un Paese finalmente coeso in cui diventava possibile riscattarsi e progettare il proprio futuro diventava un’urgenza.

Con la fine della seconda guerra mondiale esplode la rivoluzione neorealista, con alcuni dei capolavori che fecero conoscere il cinema italiano in tutto il mondo, da Roma città aperta a Sciuscià, da Ladri di biciclette a La terra trema. Brilla l’epica popolare e l’indagine sociale. Entra in scena l’immagine dell’italiano medio, con le sue insicurezze e i suoi difetti.

Un filone ininterrotto fino a i nostri giorni dove il contenuto primario è la trasformazione della realtà spicciola in mito o favola. Un “provincialismo”, dove provincialismo è inteso nel senso migliore del termine.

E l’immagine finale che ci regala l’autore, è proprio figlia di questo filone, che dalla pellicola passa alla vita reale e viceversa. E’ l’immagine del richiamo gioioso e trionfante della Loren, icona del cinema italiano, per Benigni, nella notte degli Oscar nel 1999: Robertooooo.
– “E insieme in controcampo le immagini della gioia esplosiva di Benigni che come un folletto si arrampica sulle poltrone e salta da un bordo all’altro per raggiungere il palco”-.

In questo saggio, dove innumerevoli sono i titoli suggeriti e citati, nel tentativo di raccontare come l’idea di “Italia” sia stata reinterpretata e rappresentata sullo schermo, in sottofondo si intravede un cambiamento di prospettiva dove il Cinema mette in crisi il concetto di Storia, venendo meno la distinzione tra oggetto di studio e narrazione. Studiando un’epoca storica si studia a volte solo il modo in cui questa è rappresentata in un dato momento. Il cinema dunque contribuisce in maniera molto forte ed efficace a cambiare, a demolire il metodo storico tradizionale, a sviluppare una nuova concezione della Storia.

Il film è un testo ma nelle sue immagini passato e presente si caricano l’uno dell’altro. Il tempo si accumula e la verità si frantuma. Le immagini del cinema sono immagini dialettiche o anche immagini simboliche dove:
“tutto è se stesso e tutto è anche qualcos’altro, anzi tutto è se stesso solo perché è anche qualcos’altro”.  (Benjamin. W.)

Gian Piero Brunetta è un critico cinematografico, storico del cinema e accademico italiano.
Ordinario di Storia e critica del cinema presso l’Università degli Studi di Padova, è conosciuto per essere l’autore di un’importante opera in quattro volumi dedicata alla storia del cinema italiano (Storia del cinema italiano, Editori Riuniti).
Ha diretto varie collane cinematografiche e ha collaborato con il quotidiano La Repubblica e con numerose riviste letterarie e cinematografiche italiane e straniere.
Ha curato grandi mostre sull’arte italiana (Dipingere con la luce per la mostra di Palazzo Grassi; L’arte italiana, 1900-1945, nel 1989), nonché gli undici video per la mostra La città del cinema di Cinecittà (1995).
Nel 1995 è stato nominato commendatore della Repubblica Italiana. Il 16 novembre 2017 ha ricevuto il premio “Antonio Feltrinelli” dall’Accademia dei Lincei.

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