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Recensione: “Paravion” – Civette e tappeti volanti

Recensione: "Paravion" - Civette e tappeti volanti Recensione: "Paravion" - Civette e tappeti volantiParavion
di Afid Bouazza
tradotto da Laura PIgnatti
Carbonio Editore

“Dieci anni dopo la partenza del padre, che come lui si chiamava Baba Baluk, il marito di Mamurra decise di raggiungerlo. Dall’arrivo della lettera del padre erano trascorsi sette anni. (…) Una civetta aveva preso a frequentare quasi tutte le notti la loro casa e faceva sentire il suo lugubre verso fuori dalla finestra. (…) Mamurra ebbe un aborto, e l’emorragia sembrò non finire mai. Il lenzuolo bianco cosparso di grumi di sangue, dolori insopportabili, ma Cheira e Heira le somministrarono rimedi tranquillanti che le procuravano visioni e sogni sorprendenti.”

I polpastrelli scorrono sulle pagine, lo sguardo accarezza le parole, così come queste con la stessa carezza fanno l’amore con il mio desidero di racconti e fiabe.
Una civetta bianca vola cauta sorvolando le immagini che vanno formandosi dietro le mie palpebre, sollecitate dal mondo variopinto evocato da Paravion.

Paravion, un luogo tanto desiderabile da poterci arrivare solo in volo, e solo cavalcando il migliore dei tappeti volanti.
Una fiaba Paravion, sussurrata in notti di velluto marocchino, trapunto da mille bagliori. Una lingua, quella di Bouazza, che attinge succhi e profumi da grappoli maturi, da fichi fecondi e da tutte le erbe croccanti del villaggio immaginario di Morea.
Una lingua fatta di parole magiche. Incantesimi, che conservano intatta la forza primordiale del suono, del verbo che crea e dà forma alla realtà immaginata.
Paravion diviene uno stupendo omaggio al potere delle parole, alla loro originaria capacità di suggestione e alla loro valenza terapeutica.
Scriveva Platone nel dialogo intitolato Carmide: “Bisogna curare in primo luogo e soprattutto l’anima, se si vuole che siano in buona salute sia la testa sia il resto del corpo. E l’anima si cura con certi incantesimi, e questi incantesimi sono i bei discorsi, e da questi discorsi si genera nelle anime la temperanza. E una volta che questa sia nata e sia presente, allora è più facile ridare la salute alla testa e al resto del corpo”.

A Morea, le due sorelle siamesi Cheira e Heira, conservano sopravvissute memorie, in parte inconsapevoli, di rimedi erboristici, incantamenti e formule di guarigione, antiche preghiere rivolte alle stelle o alla luna, residui di liturgie perpetuate da un riproporsi ininterrotto.
I personaggi del libro sono solo pretesti per raccontare questa storia più grande, di incantesimi e magia, nell’attesa che accada un evento, che ritorni un parente lontano, avvenga una nascita che cambierà l’esistenza, arrivi uno sposo attraente, inizi un viaggio nel luogo desiderato da sempre: Paravion.

Nell’attesa immaginiamo quello che sarà e in anticipo, troppo in anticipo, portiamo nella nostra mente e nel nostro cuore le emozioni che proveremo quel giorno.
La civetta si posa su un ramo, è paziente, ci dà il tempo di assaggiare con un piccolo morso la pietanza che vogliamo che ci sia preparata nella tavola imbandita della nostra esistenza. E non importa che attendiamo qualcosa di grande, come un figlio da un marito partito su un tappeto volante di cattiva fattura, o di più semplice, come una lettera: l’attesa porta sempre con sé un’emozione mista di desiderio, di futuro che verrà e di illusione, seppur innervata di speranza, intrisa di dubbi.

Ma la vita è buffa si sa… puoi partire da un astro e arrivare a un disastro. Il disastro è una situazione nata sotto una cattiva stella, una sciagura capitata perché le congiunzioni del firmamento non erano propizie. Ecco, quindi, il tappeto volante si mette di sguincio, frantuma, ti sfugge di mano. Così Baba Baluk conclude il suo viaggio in piume di civetta. “Nella terra di nessuno tra Morea e Paravion”, diverse civette bianche svolazzano come impazzite intorno alle reti del Pescatore, colme di pesci e cadaveri. Perchè qui le anime fuggono via dai corpi sottoforma di bianca civetta.

Chi riesce ad arrivare sano e salvo a Paravion, è in una posizione faticosa ma piacevole, come quando è a testa in giù, una posizione che consente punti di vista importanti sul luogo in cui si trova e anche su sè stessi. Ѐ però una posizione provvisoria, forzatamente instabile per gli uomini di Morea.

A volte gli inciampi della vita capitano sui dettagli minimi: sono piccoli grumi di rossetto dato troppo generosamente a fare la grande differenza. Bastano gli abiti troppo succinti delle donne di Paravion per far strambare il tappeto della tua vita e farti desiderare di tornare tra le caste braccia delle donne di Morea nella valle di Abqar.
Donne rese gravide prima di partire e affidate insieme alle figlie più grandi, ai mocciosi maschi del paese. Bambini immaturi, che lasciano crescere libere e sfacciate le loro sorelle e invecchiare nella demenza le loro madri…
Bambini a volte così leggeri, da prendere il volo come Senunu che si tramuta in rondine, pur di sfuggire alla responsabilità avuta in eredità dal padre. Dai ventri gravidi nasceranno solo femmine, unico maschio sarà Baba Baluk.
Baba Baluk, figlio di Baba Baluk, nipote di Baba Baluk, metterà al mondo una strana bambina, metà bianca, metà nera…
“La bimba divenne una coppia di gemelle siamesi attaccate per il petto. Baba Baluk guardava con la bocca aperta e lo sguardo smarrito quella duplicità femminile che aveva generato”.
Perchè in questo libro nulla è come sembra, tutto ti lascia a bocca aperta, la città stessa, tanto bramata, è un non luogo, “Par avion” è una semplice dicitura che indica la posta aerea.

Sulle ultime parole del libro, cala il silenzio della mia anima, finora vivacemente intrattenuta. Piume bianche fremono, la civetta prende il volo.
Il silenzio è la testimonianza di una bellezza in atto che mi ha avvinto. Il silenzio è l’esito della vittoria della bellezza sulle chiacchiere inutili. Il silenzio è la dimora nella quale la bellezza è invitata a farsi avanti.
Ancora oggi dunque funzionano le parole ricercate, vere, le parole belle, dentro e fuori il libro, dentro e fuori di noi. L’esperienza consapevole della bellezza è una occasione privilegiata per ritrovarsi e rimettersi in cammino alla ricerca di quello che non è stato possibile trovare a Paravion “una felicità” che duri “per sempre”.

Hafid Bouazza, l’anima civetta, che mi ha accompagnato in questa mia lettura, sembra sussurrare le parole di Mamurra, la misteriosa, bianca madre di Baba Baluk: “ho fatto sentire la mia voce tra tutte le voci. Ora seguirò l’ammonimento del vento: tacerò, ma non potrò mai essere spezzata”.

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