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Recensione: “Stay Still”. Fermarsi, per resistere

Recensione: "Stay Still". Fermarsi, per resistere Recensione: "Stay Still". Fermarsi, per resistereDue giovani donne che non potrebbero essere più diverse: Julie è un’ereditiera testarda e sarcastica che celebra l’ozio e di tanto in tanto si reca volontariamente in una clinica psichiatrica per sfuggire al lavoro e alle responsabilità. Agnes, d’altra parte, è una giovane e ingenua infermiera, madre di una bimba di tre anni con un problema fondamentale: nonostante le ansie di soddisfare tutte le aspettative, ancora non ha capito cosa voglia dire essere madre.

Queste le protagoniste di Stay Still, esordio nel lungometraggio di Elisa Mishto, regista e sceneggiatrice nata a Reggio Emilia e residente a Berlino, già sugli scudi con il suo cortometraggio Emma and the Fury, vincitore al Nottingham International Filmfestival e al Flensburger Kurzfilmtage.

Quando le due donne si incontrano in clinica, nonostante le evidenti differenze, iniziano una ribellione che metterà a ferro e fuoco tutto e tutti quelli che gli stanno intorno. Stay Still è un ritratto poetico e radicale di una generazione senza nulla da perdere e nulla da guadagnare.

Qualche anno fa – racconta la regista – mentre giravo un documentario sulle istituzioni psichiatriche, mi sono imbattuta in qualcosa che mi ha profondamente colpita: coloro che non fanno niente. I pazienti in una clinica trascorrono spesso le loro giornate aspettando di prendere le medicine, aspettando il pranzo, la visita di un famigliare o semplicemente di stare meglio e mentre aspettano, non fanno niente. Alcuni di loro vorrebbero fare qualcosa, ma non sono in grado di farlo, mentre altri si rifiutano ostinatamente di entrare nelle fila dei membri attivi e produttivi di una societá. Proprio perché spinti forzatamente verso la periferia delle comunità in cui vivono, sono costretti a vedere il mondo da una prospettiva diversa e cominciano a porsi delle domande: lavorare è un privilegio o un obbligo? E qual è il nostro valore come esseri umani, se non siamo in grado di fare ma solo di essere?

Stay Still ci racconta quanto possa essere doloroso e sconvolgente – ma anche liberatorio e politicamente radicale – l’atto di non fare nulla, in una società ossessionata dal produrre e consumare. Julie e Agnes sono considerate ribelli semplicemente perché si rifiutano di fare qualsiasi cosa, anche se potrebbero avere tutto. Sono le formiche insolenti che smettono di seguire gli ordini e abbandonano le fila ballando, aspettando ai bordi della strada per vedere cosa succederà.

Chi sta fermo, non necessariamente resiliente, marca infatti una differenza che non può lasciare indifferenti tutti gli altri. C’è chi reagisce con la forza dell’omologazione, delle regole come rifugio di saldezza e chi, invece, riceve la spinta definitiva per uscire proprio da quella gabbia che sente così opprimente.
Un film, questo Stay Still, che ha il merito di non lasciare indifferenti, raccontando una storia per molti versi inusuale e accoppiandola a una realizzazione tecnica di buon livello, sebbene necessariamente secondaria al lavoro di sceneggiatura.

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