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IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO – Correva l’anno, il mese, il giorno… 25 novembre 1963

IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO - Correva l’anno, il mese, il giorno… 25 novembre 1963 IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO - Correva l’anno, il mese, il giorno… 25 novembre 1963

Correva l’anno, il mese, il giorno… 25 novembre 1963

Il 1963 volge al termine e, anche se nessuno lo dice, siamo già al crepuscolo di quel miracolo economico che ha portato anni di eccitazione ed euforia. I politici italiani, per indorare la pillola e fingere che tutto continui ad andare per il meglio, negli anni immediatamente successivi al boom chiameranno “congiunture” l’evidente avvio del recesso.

Meno lavoro, meno stipendi, meno consumi, meno produzione.

IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO - Correva l’anno, il mese, il giorno… 25 novembre 1963 IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO - Correva l’anno, il mese, il giorno… 25 novembre 1963Ma la parola d’ordine è minimizzare ogni cosa, fingere vi sia luce anche dove regna il buio più assoluto. Il disastro senza precedenti del Vajont in quel 25 novembre è lontano appena quarantacinque giorni, ma è già dimenticato e ci si adopra da ogni dove per relegarlo nella cronaca locale e parlarne il meno possibile.

Si naviga a vista improvvisando (e sbagliando quasi sempre) ma facendo finta di avere solidi progetti a lunga scadenza. Nel frattempo, due simboli di un possibile cambiamento, Papa Giovanni XXIII e John Fitzgerald Kennedy, sono morti lasciando vuoti non solo incolmabili, ma preoccupanti. Al posto del “Papa buono” arriva Paolo VI, Papa Roncalli, del tutto restio a quelle aperture importanti mostrate dal suo predecessore. Discorso diverso per JFK. Il politico che più di ogni altro ha incarnato il “pop” e l’idea di futuro di inizio anni Sessanta, muore nel più cupo omicidio politico del dopoguerra, un caso tuttora oscuro e irrisolto che nel corso degli anni ha aperto – e non smette tuttora di farlo – scenari a dir poco inquietanti.

Ma il 25 novembre, ad appena tre giorni dall’omicidio di Dallas, la percezione dell’accaduto in Italia è come ovattata, una bolla surreale dove nessuno deve entrare e su cui nessuno deve fare troppe domande. Sarà così a lungo.

Il jukebox di quei giorni vede in testa il solito Celentano, mattatore assoluto di quei primi anni Sessanta e che va definendo in maniera netta e inequivocabile la sua immagine di “ribelle organico”, vale a dire di “Elvis italiano” innovativo e rivoluzionario, pura anima rock ma al tempo stesso ferocemente ostile alle contestazioni e ai riformismi troppo arditi e spericolati.

Il singolo con cui domina la Top Ten del 25 novembre, Sabato triste (https://www.youtube.com/watch?v=Su8Ys23r40o), è un vero e proprio inno in questo senso. La musica, dello stesso Celentano, è un ottimo rock blues (molto debitore della lezione di Ray Charles), sonorità ancora inedita in Italia, specie ai vertici delle vendite; viceversa il testo è più o meno da denuncia e racconta l’esplosione della rabbia di un uomo («Ma se rientra/ la picchio davvero») perché la sua compagna è uscita da sola. Una cosa ingiustificabile perché «deve capire che un uomo non può/ restare di sabato solo e a digiuno». Come a dire che se i venti di cambiamento stanno arrivando, vanno chiuse subito le finestre impedendogli di entrare.

La rivoluzione del sound e la più bieca e gretta chiusura al progresso culturale, il cambiamento nella forma e la reazione nella sostanza: la fotografia perfetta dell’Italia del tempo.

Il resto della Top Ten è del tutto in linea con tutto questo, ovvero con un paese che canta pene d’amori adolescenziali e balla innocui motivetti mentre fuori i più tremendi terremoti scuotono il mondo alle sue fondamenta. Non a caso resiste ancora all’ottavo posto uno dei tormentoni dell’estate, l’hully gully irresistibile di Edoardo Vianello e della sua celeberrima I Watussi, incarnazione della più spensierata leggerezza.

IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO - Correva l’anno, il mese, il giorno… 25 novembre 1963 IL JUKEBOX DEL TEMPO PERSO - Correva l’anno, il mese, il giorno… 25 novembre 1963Mentre il secondo e il terzo posto sono occupati da ottime produzioni musicali, ma che raccontano i soliti cuori maschili infranti per colpa di donne crudeli insensibili: Se mi vuoi lasciare di Michele e Io ti cercherò di Ricky Gianco. Ma ancora più emblematica è la presenza in classifica di due nuove interpreti. La prima è Rita Pavone, che nel 1963 non è mai di fatto uscita dalla Top Ten e che il 25 novembre piazza al settimo posto il singolo Non è facile avere 18 anni, (https://www.youtube.com/watch?v=4WgJxJUGySI) che darà il titolo al 33 giri d’esordio della cantante nel 1964.

La canzone, ma soprattutto l’interprete, incarna quell’idea astratta di eterna giovinezza, una “neverland” felice, bambinesca e immemore in cui l’Italia, e soprattutto gli italiani, vogliono illudersi di rimanere, rimandando continuamente il passaggio all’età adulta. Sulla stessa lunghezza d’onda si colloca l’approdo nelle classifiche italiane della splendida e giovanissima Françoise Hardy, che propone L’età dell’amore (https://www.youtube.com/watch?v=jbE8qMBsF9g), versione in lingua italiana dell’originale francese Le temps de l’amour.

La sua immagine evolverà rapidamente nel corso del decennio, ma in quel novembre 1963, appena diciannovenne, il suo viso e la sua dolce ballata in cui canta «è l’età dell’amor, l’età degli amici e dell’avventura/ Le ferite d’amor non durano che soltanto una sera/ Non ci sono pensieri, il tempo che va, non sai fermar come l’amor», sono la colonna sonora più naturale e inevitabile per un paese che non vuole saperne di diventare adulto.

Siamo nel pieno degli anni Sessanta, ma i tempi in cui strade e piazze si infiammeranno in nome di un mondo migliore sono ancora lontani anni luce…

 

 

 

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