Dietro il trionfo elettorale della Democrazia Cristiana nel 18 aprile 1948 si nasconde una realtà molto più complessa di quanto possa sembrare: un mosaico di anime cattoliche profondamente diverse tra loro, unite solo in apparenza dalla comune fede religiosa ma divise da visioni politiche, sociali e istituzionali spesso inconciliabili.
Un partito, mille anime
Il mondo cattolico che porta la DC al successo non è affatto monolitico. Convivono al suo interno i vecchi leader del Partito Popolare sturziano, reduci dall’esperienza prefascista, e le nuove generazioni che guardano con ammirazione alla figura carismatica di Giuseppe Dossetti, intellettuale e costituente che sogna una democrazia più avanzata e attenta alle questioni sociali.
Ci sono poi i gruppi intellettuali formatisi nell’Azione Cattolica, palestra di impegno civile per generazioni di laureati cattolici, e quelli provenienti dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di padre Agostino Gemelli, con un approccio più accademico e conservatore. Ognuno di questi gruppi porta con sé un’idea diversa di come debba essere l’Italia del dopoguerra.
Le contrapposizioni più aspre
Le divisioni più profonde emergono quando si confrontano i progetti clerico-moderati di Luigi Gedda, uomo di fiducia di Pio XII e animatore dei Comitati Civici nella campagna elettorale del ’48, con le posizioni di alcuni sacerdoti che rappresentano l’anima più profetica e sociale del cattolicesimo italiano. Figure come don Primo Mazzolari, padre David Maria Turoldo, don Camillo De Piaz, don Zeno Saltini ed Ernesto Balducci incarnano un cattolicesimo diverso: più vicino ai poveri, più critico verso il potere, più aperto al dialogo anche con il mondo comunista.
Questi preti “scomodi” spesso entrano in rotta di collisione con la linea ufficiale della Chiesa e dello stesso partito cattolico, ma rappresentano una componente vitale del mondo cattolico postbellico, capace di parlare alle periferie esistenziali e sociali del paese.
La capacità di fare sintesi
Nonostante queste profonde differenze, il mondo cattolico dimostra nel 1948 una straordinaria capacità di fare sintesi. L’urgenza della ricostruzione dopo la devastazione della dittatura fascista e della guerra mondiale spinge questi gruppi a trovare un terreno comune, almeno temporaneamente. È questa unità d’intenti, più tattica che sostanziale, a consentire la rinascita democratica dell’Italia.
La vittoria del 18 aprile 1948, con il suo 48,5% di consensi alla DC, segna l’inizio della cosiddetta “età dell’oro” del cattolicesimo politico italiano. Ma già in quel momento erano presenti tutti i germi delle divisioni che avrebbero caratterizzato la storia del partito nei decenni successivi: tra conservatori e progressisti, tra integralisti e dialoganti, tra chi vedeva nella DC uno strumento di difesa dell’ordine costituito e chi invece sperava in profonde riforme sociali.
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