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Recensione Teatro: Uomini e Topi – Compagnia Giardini dell’arte @ Teatro Lumière – Firenze

Recensione Teatro: Uomini e Topi - Compagnia Giardini dell’arte @ Teatro Lumière - Firenze Recensione Teatro: Uomini e Topi - Compagnia Giardini dell’arte @ Teatro Lumière - FirenzeUomini e Topi
Compagnia Giardini dell’arte
Teatro Lumière, Firenze

Dal 27 al 29 ottobre la compagnia Giardini dell’arte ha messo in scena presso il Teatro Lumière di Firenze la riduzione teatrale di Uomini e topi, iconico romanzo breve di John Steinbeck, dalla versione italiana di Luigi Squarzina. La storia vede come protagonisti George Milton e Lennie Small, interpretati rispettivamente dagli attori Lorenzo Lombardi e Aldo Innocenti, due braccianti che negli Stati Uniti degli anni Trenta, in piena depressione, vivono spostandosi per le fattorie in cerca di lavoro con il sogno di comprarne una, un giorno, per essere finalmente liberi e padroni delle proprie esistenze. Lennie è un uomo fortissimo e di stazza imponente con la mente di un bambino, ciò lo rende indifeso in un mondo fatto di miseria e prevaricazione. George, al contrario, è piccolo e minuto, ma scaltro di mente. Per quanto George rinfacci sempre a Lennie che per lui è solo un peso, in realtà ognuno è il punto di riferimento dell’altro, amico, confidente e infine famiglia, un legame reso saldo dalla povertà e la voglia di riscatto, che in Lennie è rappresentato dal desiderio di allevare conigli per toccare cose morbide. Ed è la morbidezza, o meglio la delicatezza che ne deriva, il miraggio che i personaggi ricercano nel contatto fisico e nei sentimenti, in opposizione a un ambiente duro e ruvido, dove anche l’amore per un cane, compagno di vita, diventa un peccato.

Le storie di Steinbeck sono spietate non perché l’autore lo fosse, ma semplicemente perché lasciano che la vita parli per quello che è, attraverso le vicende dei personaggi, creando un tessuto che sfrega duramente la pelle del lettore. Il regista Marco Lombardi prende così Steinbeck nelle proprie mani, in un’attività minuziosa di taglio e cucito, rende quel tessuto finalmente palpabile, grazie anche alla capacità degli attori di trasmetterne ogni sfumatura. Il capo-mulattiere Slim, che ha il volto di Marcello Sbigoli, è filo che passa di scena in scena alternando il suo ruolo di personaggio e narratore, creando così nello spettatore la sensazione di essere all’interno della storia stessa da cui poi tutti prendono vita. Il ritmo dello spettacolo si combina con le musiche di Marco Simoni creando un movimento continuo anche nei momenti più riflessivi e intimi. Sul palco non ci sono mai spazi vuoti, neppure quando Lennie rimane da solo prima del tragico epilogo con la moglie di Curley, l’arrogante figlio del padrone, interpretati da una sensuale Anna Serena e uno spavaldo Raffaele Totaro. In questo modo il pubblico non viene mai tenuto in sospeso e sostiene l’incalzare degli eventi in cui vengono incastonati momenti di interpretazione dei personaggi che lasciano senza fiato. Lorenzo Bittini dà allo scopino Candy una tridimensionalità emotiva, coinvolge il pubblico nella rassegnazione di una vita di miseria, per farlo poi volare verso il sogno di futuro migliore e ricadere nel baratro della speranza tradita da una vita più forte di qualunque volontà umana. Il dolore silenzioso e tremante di Candy quando il suo vecchio cane viene ucciso dal cinico Curlson, ben interpretato da Gianfranco Onatzirò Obinu, è talmente intenso che annulla la distanza del palco e ti proietta direttamente lì, sulla scena. Anche Anna Serena ci regala l’immagine di una moglie sensuale e traditrice forse per natura, ma anche per disperazione per una vita che la intrappola nell’infelicità. Una donna che non ha un nome, ma solo un ruolo sociale che la relegherebbe a scomparire tra le pareti domestiche, destino a cui si ribella condannando se stessa e chi ha intorno. In un momento di confessione, Serena riesce a passare da un timbro languido e provocante a uno più duro, rassegnato e disperato al tempo stesso. L’impatto con il pubblico è forte, perché non è solo “messa in scena”, ma è l’appello di una donna soffocata dalle regole di una società patriarcale a cui crede di ribellarsi concedendosi qualche avventura, ma segnando così la sua fine. In fin dei conti, la moglie di Curley, come lo stalliere Crooks, sono degli emarginati, la prima perché donna, l’altro perché di colore. Lombardi riesce a evidenziare l’emarginazione di questo personaggio lasciandolo come sola voce fuori campo, una voce scomoda per una società ancora intrisa di razzismo. Crooks non è come gli altri, non lo vediamo insieme agli altri, è tenuto lontano, appartato, zittito: questa è la discriminazione e Marco Lombardi la rappresenta magistralmente.

Una nota a parte merita la coppia Lorenzo Lombardi/Aldo Innocenti, assolutamente convincenti sul palco nei ruoli dei personaggi principali. Il George Milton di Lombardi passa come un’onda tra la voglia di libertà e la consapevolezza che la povertà è la più grande schiavitù dell’uomo e i suoi movimenti sono un’esplosione di questi sentimenti, prima frenetici, poi trattenuti, poi avvolgenti negli abbracci che dà a Lennie/Innocenti. La sua interpretazione crea un perfetto equilibrio con quella di Aldo Innocenti che riesce a far vivere Lennie nelle sue emozioni fanciulle e le difficoltà di un’esistenza che non perdona le diversità. Ho visto altre volte Innocenti sul palco nel ruolo del soggiogato e complice John in La stanza di Veronica e l’arrogante violento Zampanò in La strada, sempre con la compagnia Giardini dell’arte, e sapeva rendere reali i personaggi a cui prestava il volto. Con Lennie, però, riesce a raggiungere quel livello magico in cui l’attore si annulla, non lo vedi. Aldo Innocenti scompare e lì, davanti a te c’è solo Lennie, in tutta la sua inconsapevole forza e innocente differenza, lontano dalle malizie del mondo, ma proprio per questo incapace di difendersi da esse e dalle loro conseguenze. L’ultima scena vede George e Lennie nuovamente insieme, da soli, come all’inizio. In un ultimo estremo atto di protezione di George verso l’amico creando una tensione drammatica così forte da riempire l’aria di un’emozione intensa e condivisa da rendere la scena uno squarcio di vita vera e dolorosa.

Solo quando le luci in sala si accendono e iniziano gli applausi realizzi che era solo finzione, oppure un’altra realtà vissuta assieme ad altre persone in una bolla grazie agli attori sul palco, ma anche a tutti quelli che, grossolanamente definiti invisibili dello spettacolo, hanno contribuito a rendere questa esperienza possibile: l’assistente alla regia Sandra Bonciani, lo scenografo Lorenzo Scelsi, la costumista Fiamma Mariscotti e Silvia Avigo alle luci. Un applauso. Tanti applausi.

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