Minaccia improvvisa

Gli studi sulla sconfitta dell’Impero giapponese nella Seconda guerra mondiale dedicano un ruolo di secondo piano alla guerra sottomarina rispetto ai ben più famosi scontri navali avvenuti in superficie. Eppure, come lo stesso generale Tojo riconobbe dopo la resa del Giappone, tre erano state le cause principali della vittoria alleata nel Pacifico. In primo luogo, la capacità americana di mantenere in mare, per mesi e mesi, potenti unità navali che venivano costantemente rifornite in navigazione, senza dover rientrare nelle proprie basi. Poi la cosiddetta offensiva a “salto di rana”, che, girando attorno alle guarnigioni avanzate nipponiche, si concentrava su obiettivi di vitale importanza strategica. Infine, terza ma non ultima causa in ordine di importanza, la quasi totale distruzione del naviglio giapponese per opera dei sottomarini americani. Ciò non solo impedì al Giappone di trasportare le sue notevoli riserve di potenziale umano nei vari settori minacciati dell’Impero, ma rese vano soprattutto il rifornimento e il rafforzamento delle truppe già schierate.
Per quanto riguarda il materiale, quello del Pacifico fu un conflitto assolutamente impari, non solo in relazione alle armi sottomarine delle due potenze in conflitto, ma anche in qualsiasi altro settore militare. All’inizio del conflitto, nel dicembre 1941, le forze sottomarine giapponesi e americane si trovavano sostanzialmente quasi alla pari, con un piccolo vantaggio giapponese. La flotta combinata disponeva di 60 battelli subacquei, contro i 55 americani.
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