C’è una parola che attraversa i secoli portando con sé il profumo della rinascita e il bagliore del primo giorno: aurora.
Nel suo suono lieve e dorato vive una storia antichissima, che unisce la mitologia, la poesia e la linguistica indoeuropea.
Il termine aurora discende dal latino aurōra, alba, legato alla radice indoeuropea aus-, che significa splendere, risorgere, diffondere luce.
Dalla stessa radice nasce anche aurum, oro: due parole che condividono l’idea di luminosità e purezza.
Non è un caso che quasi tutte le lingue antiche possiedano un termine simile: in greco ēōs, in sanscrito uṣás ,sempre associato alla dea dell’alba, colei che apre le porte del cielo e annuncia il giorno.
Per i Romani, Aurora era una giovane donna dalle dita rosate che precedeva il carro del Sole.
Nel linguaggio poetico, divenne simbolo di bellezza, speranza e rinnovamento.
Quando Dante, nel Paradiso, scrive come l’aurora del mattin si move, la parola diventa immagine del risveglio dell’anima e della luce divina.
Una parola senza tempo
In ogni sua sfumatura, aurora continua a evocare luce che rinasce.
È una parola che appartiene alla scienza e alla poesia, alla mitologia e alla quotidianità: un piccolo frammento d’eternità linguistica, che ci ricorda che ogni giorno comincia con una parola di luce.
Uso contemporaneo
Nell’uso contemporaneo, aurora è una parola che unisce poesia e modernità.
Pur non essendo comune nel parlato, vive nei linguaggi simbolici, artistici e mediatici, dove continua a significare luce, rinascita e speranza.
È un termine che, pur antico, non tramonta mai, perché parla direttamente all’immaginazione e all’emozione.
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