“Che belle parole!” – Numero 5: “Sorriso”

“Che belle parole!” – Numero 5: "Sorriso"Parola del giorno: Sorriso

Introduzione

Sorriso non è soltanto un gesto del volto, ma un segno narrativo ed emotivo:
è una pausa del dolore, una fenditura di luce nel quotidiano, un linguaggio silenzioso che rivela ciò che le parole spesso non riescono a dire. In letteratura il sorriso può essere complice o ironico, malinconico o salvifico; può mascherare una ferita, annunciare una speranza, oppure tradire un segreto interiore.

È un gesto minimo che contiene mondi:
– può essere
resistenza di fronte all’avversità,
tenerezza che umanizza i personaggi,
ambiguità, quando cela più di quanto mostri,
epifania, quando illumina un istante decisivo del racconto.

La parola sorriso deriva dal latino subrīdēre: sub- (sotto, leggermente) rīdēre (ridere).

Il significato originario è dunque ridere appena, ridere sottovoce, un riso trattenuto, non esploso. Già nell’etimologia è presente l’idea di misura, discrezione, interiorità. Curiosità

Una curiosità storicoletteraria sul termine sorriso riguarda il suo uso come gesto ambiguo e rivelatore nella tradizione narrativa.

Nel Medioevo, il sorriso era spesso guardato con sospetto: nei testi morali e religiosi un sorriso eccessivo poteva indicare vanità, inganno o tentazione. Non a caso, Dante usa raramente il sorriso in senso terreno e lo riserva soprattutto a figure spirituali, dove diventa luce, grazia, rivelazione (il santo riso di Beatrice).

Con il Rinascimento, il sorriso acquista una fama nuova grazie all’arte e alla letteratura: diventa enigma. Il caso più celebre è quello del sorriso indecifrabile, reso immortale dalla Gioconda e ripreso anche in scritti letterari come simbolo di interiorità insondabile.

Nella narrativa moderna, da Manzoni a Pirandello, il sorriso perde ogni innocenza: può essere maschera sociale, ironia difensiva, o segnale di frattura tra ciò che si è e ciò che si mostra. Non a caso Pirandello distingue spesso tra riso e sorriso, affidando a quest’ultimo il compito di suggerire il non detto.

Così, nella storia letteraria, il sorriso resta un gesto piccolo ma potentissimo: mai neutro, sempre carico di significato.

Uso contemporaneo

Nell’uso contemporaneo, il termine sorriso vive una doppia dimensione, sospesa tra intimità autentica e rappresentazione sociale.

Da un lato, continua a indicare un gesto umano essenziale: segno di empatia, apertura, resistenza emotiva. Nella narrativa e nella poesia di oggi il sorriso è spesso fragile, appena accennato, legato a momenti di sopravvivenza quotidiana più che di felicità piena. È un sorriso che non promette salvezza, ma presenza.

Dall’altro lato, il sorriso è diventato codice, quasi un obbligo: nei media, nella pubblicità, nei social network rappresenta una versione semplificata e performativa dell’emozione. In questo contesto, la letteratura contemporanea lo usa spesso in modo critico o ironico, mettendo in scena sorrisi forzati, di facciata, che rivelano alienazione o distanza.

Per questo, oggi il sorriso in letteratura è raramente ingenuo:
è un gesto
consapevole, spesso contraddittorio, che mette in tensione ciò che si mostra e ciò che si tace. Un segno minimo che continua a interrogare il lettore proprio perché sembra semplice ma non lo è mai.

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