Recensione: Grown ups - Una Dublino manhattaniana Recensione: Grown ups - Una Dublino manhattaniana

Recensione: Grown ups – Una Dublino manhattaniana

Recensione: Grown ups - Una Dublino manhattaniana Recensione: Grown ups - Una Dublino manhattanianaGrown ups
di Marian Keyes
Tradotto da Denise Silvestri
Francesco Brioschi Editore

Inesauribile. Instancabile. Irrefrenabile. Crediamo siano questi gli aggettivi più appropriati per definire la prosa di Marian Keyes, sessantenne irlandese, autrice del più che corposo (609 pagine nell’edizione italiana) Grown Ups, ultimo parto di una produzione assai prolifica (una ventina di romanzi, diffusi in ogni parte del globo terracqueo, oltre a qualche saggio).
La Keyes ha tutte le carte in regola per fregiarsi di appartenere a quel filone letterario (sarebbe troppo ambizioso definirlo genere) fiorito e cresciuto rigogliosamente per merito delle penne di scrittrici di lingua inglese, che vede protagoniste donne in carriera, disinibite e ambiziose, gareggianti con maschi che le più volte finiscono per soccombere travolti dall’intraprendenza di queste amazzoni postfemministe. Sex and the City, avete presente?
La vicenda, o meglio: il fitto groviglio di vicende, si svolge a Dublino, ai tempi nostri.
Ma non immaginatevi la Dublino di James Joyce o di Roddy Doyle, operaia e ritrosa, con la vita racchiusa nei pub odorosi di birra e tabacco. Sembra di essere piuttosto a Manhattan, nella luminosa, frenetica e aristocratica Manhattan di Woody Allen.
E in questa Dublino manhattaniana vive, si agita e si contraddice la grande famiglia dei fratelli Casey (Johnny, Ed e Liam), composta dai sunnominati fratelli, le loro mogli, i loro figli, i nonni, i cognati, le nuore. E tanti altri, ma così tanti da essere stato tentato (in assenza del soccorso di un albero genealogico in seconda di copertina) di munirmi di lapis e taccuino, e annotare via via i nomi e le parentele.
Ma il ritmo incalzante della Keyes ha travolto il mio taccuino e il mio lapis, costringendomi a giacere passivo sul divano, con l’unica ambizione di restare a galla e non farmi travolgere dalle onde. E al diavolo il ricordare i nomi e i gradi di parentela: mi son ben presto accorto che, oltre che impossibile, non era poi così necessario.
Impossibile anche solo accennarvi una vera e propria trama. Si parte da un’occasione di ordinaria e tradizionale convivialità familiare, per ritrovarci ben presto – per mano di Cara, cognata del festeggiato Johnny, che ‘sbrocca’ per un colpo ricevuto alla testa qualche giorno prima – in una sorta di antefatto collocato sei mesi prima. E da lì parte una narrazione, appositamente disordinata, caotica, di fatti e fatterelli che mettono a nudo le contraddizioni e i lati inconfessabili di ciascuno dei membri adulti della famiglia Casey, che finiscono per mostrarli come ragazzini mai emersi dall’adolescenza.
Si comprende dunque il titolo del romanzo (saggiamente non tradotto dall’editore italiano). La traduzione più comoda di grown ups è adulti. Ma è anche una traduzione frettolosa. Letteralmente sarebbe cresciuti su, cioè oltre (l’adolescenza, ovviamente) . Ed è quel che si chiede e ci mostra la Keyes nel suo travolgente raccontare: Johnny, Liam, Ed, Cara, Jessie, Nell, eccetera, sono o non sono usciti dall’adolescenza, sono davvero degli adulti?
La risposta è affidata a un torrente di dialoghi, di passaggi repentini da un personaggio all’altro, di telefonate, di messaggi whatsapp, in un lungo e tortuoso percorso che dura sei mesi. E il tutto si ricompone (pagina 543) nell’oggi della prima pagina, dove ritroviamo i nostri personaggi a ripetere i gesti e le frasi della prima pagina, per poi essere condotti a un epilogo che velocemente (un po’ troppo velocemente, a mio giudizio) vede ricomporsi tutte le passate contraddizioni, con un sottinteso ma evidentissimo … e vissero tutti felici e contenti.
Operazione riuscita, quella della Keyes, per mantenere il già altissimo score presso il grande pubblico. E non importa se chi, un po’ snobisticamente pulcioso, trovi qua e là delle macchioline nella brillante scrittura dell’autrice irlandese, qualche banalità (“la baciò con passione e dolcezza, in modo romantico e sexy”) e un eccesso di paragoni forzati (“la paura riverberò dentro di lei come una campana gigante”, “sentiva un disgusto verso se stesso brontolargli nello stomaco, come latte acido”).
Insomma, buona immersione nel mare agitato e spumeggiante di Grown Ups! E non cadete nella depressione se dopo quattrocento pagine di lettura non vi ricordate ancora se Tom, TJ e Dilly sono figli di … oppure di …. Superate allegramente l’ostacolo e divertitevi senza riserve.

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