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Recensione: I Greci, i Romani e… gli animali – Dalla vita comune ai grandi pensatori

Recensione: I Greci, i Romani e… gli animali - Dalla vita comune ai grandi pensatori Recensione: I Greci, i Romani e… gli animali - Dalla vita comune ai grandi pensatoriI Greci, i Romani e… gli animali
di Marco Vespa
Carocci editore

Non ho dovuto aspettare di giungere alla fine di questo breve e singolare saggio sui rapporti tra le culture dell’Antichità e il variegato mondo della zoologia, per provare il bisogno, oltre che la curiosità, di sapere qualcosa di più sul suo autore, Marco Vespa. Se non altro, qualcosa di più delle avare note biografiche concesse nel risvolto di copertina dal suo coraggioso editore. Perché, uno che si è messo in testa di condurre e pubblicare “Studi sulla rappresentazione culturale della scimmia nei testi greci e greco-romani” (Brepols, 2021) merita senza alcun dubbio curiosità e attenzione.
Oltre che rispettosa considerazione.
È giovane, Marco Vespa: classe 1988. Ma ha un curriculum di studi e pubblicazioni da veterano delle Scienze umanistiche. Quelle con la esse maiuscola. Più esattamente, di un ramo della Scienza di singolare specificità, che studia la rappresentazione del mondo animale nell’Antichità. Per dirla malamente: uno storiografo dell’etologia, o un archeozoologo. Insomma, una sorta di puntiglioso Konrad Lorenz con il cannocchiale puntato sui colleghi etologi dell’Antichità.

Il breve saggio, di agevole lettura e comprensione, è strutturato con metodo scientifico e quindi rigorosamente schematico. È suddiviso in nove capitoli, ciascuno dei quali apre una finestra su una specifica visuale del mondo animale e del suo rapporto con la filosofia, la cultura, la religione, la quotidianità (compresa la gastronomia) del mondo greco-romano.
E ciascun capitolo è impreziosito da numerosi brani di autori greci e latini, la cui lettura, se non rilettura, ho gustato con un particolare piacere, venendo ricondotto ai bei tempi andati del liceo: da Omero a Virgilio, da Plutarco a Tito Livio, da Aristofane a Fedro.
Oltre a decine e decine di altri autori, alcuni – almeno per me che professo ignoranza – poco noti o sconosciuti, che testimoniano inequivocabilmente quale rilevanza abbiano avuto, sia nel bene che nel male, gli animali nel mondo antico.
Qualche scettico potrebbe affermare che si tratta della scoperta dell’acqua calda. Sarebbe un giudizio frettoloso. Certo, tutti sanno quanto sia antico il legame tra l’uomo e gli animali domestici, e quanto ancora oggi gatti e cani siano considerati i migliori amici a quattro zampe dell’uomo. Ma non è di questo che ci parla l’agile trattatello di Marco Vespa. Quel che interessa all’autore (ricercatore all’Università ebraica di Gerusalemme, e nello specifico studioso degli scritti zoologici di Aristotele) è sottolineare quanto fosse importante, sotto quasi tutti i punti di vista, per i Greci e i Romani antichi il rapporto con il mondo animale. Un rapporto molteplice e controverso, generatore di alleanze e di conflitti, nei templi e nei deschi, nelle cerimonie propiziatorie e nei giochi circensi. Eccetera.

Importanza che senza alcun dubbio oggi non ha più, se si eccettua lo sparuto e inascoltato manipolo di ecologisti, che si lamentano e accusano il mondo tecnologico della sparizione delle lucciole e degli sconvolgimenti delle rotte migratorie delle rondini e delle oche selvatiche.
Ma, al di là del messaggio ecologico che, se si vuole, è possibile attingere dal libro senza grandi difficoltà, questo offre soprattutto un gran numero di gustosi brani di antichi studiosi – noti e meno noti – che anticipano (a volte goffamente) di un paio di millenni le ricerche della moderna antropologia; come questo, tratto dalla “Fisiognomica”, di anonimo della scuola di Aristotele, che intende aprire la strada al Lombroso: “Quelli che hanno un sedere appuntito con una componente ossea preponderante sono coraggiosi; al contrario chi ha un sedere morbido e in carne è debole; quelli che invece hanno un sedere con poco tessuto muscolare, come se la carne fosse stata grattata via, sono malvagi: si vedano le scimmie”. Povere, bistrattate scimmie!

Scopriamo così che un interrogativo che non faceva dormire il nostro bisnonno Darwin – se cioè la conquista della posizione eretta, e la conseguente liberazione delle mani dal compito della deambulazione, non stia all’origine del processo di ominizzazione – se lo era già posto Aristotele circa ventun secoli prima, sia pure in termini un po’ diversi e con una soluzione-affermazione che per la verità non fa molto onore al grande filosofo.
“Considerata la stazione eretta del corpo” argomenta Aristotele, “non c’era davvero motivo che l’essere umano avesse delle zampe anteriori, per questo la natura gli ha concesso braccia e mani al loro posto. Anassagora ritiene che l’uomo sia il più intelligente degli animali perché fa uso delle mani; ma è giusto dire, invece, che l’uomo possiede le mani proprio perché è il più intelligente”.
Il solito viziaccio dei filosofi greci: mescolare le scienze naturali con le credenze religiose! La natura come una sorta di divinità capricciosa dispensatrice di doni? Forse no… perché il vecchio grande filosofo aggiunge: “Se è questo il modo migliore di agire, se la natura realizza sempre il meglio a partire dalle condizioni che sono possibili, ecco allora che non è per le sue mani che l’uomo è il più intelligente dei viventi, ma è per la sua intelligenza che possiede delle mani”.

Insomma, ha ragione o no? Prima l’uovo o la gallina? Marco Vespa si guarda bene dall’intervenire, lui fa soltanto l’archeologo, non gli interessa vagliare e dare il voto alle affermazioni del fondatore della Scuola peripatetica.

Vogliamo farlo noi? Libri così ricchi di documentazioni e spunti possono essere un ottimo strumento di confronto e di apertura di interessanti dibattiti…

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