Recensione: “Libertà colpevole”, perché questo romanzo distopico è ancora più inquietante di “1984” di Orwell

Recensione: "Libertà colpevole", perché questo romanzo distopico è ancora più inquietante di "1984" di OrwellDell’autore di Libertà colpevole, notissimo avvocato penalista francese classe 1950, consulente di eminenti uomini pubblici e protagonista di processi famosi, mi interessa segnalare la sua battaglia contro l’Istituto giudiziario della detenzione preventiva, da lui definita un résidu de barbarie in un saggio del 2011. Considero utile per il lettore questa segnalazione, perché l’humus di Libertà colpevole (Carbonio Editore) – libro con il quale Le Borgne esordisce nel fascinoso terreno della narrativa – è proprio una situazione di detenzione preventiva generalizzata. Con la precisazione che qui preventiva va intesa come atta a prevenire. A prevenire che? Lo vediamo subito.

Dopo un breve prologo – la cui importanza sarà svelata, come un coup de theatre tipico dei grandi penalisti, soltanto nelle ultime pagine del romanzo – Le Brogne ci scaraventa senza tanti complimenti, ma anche senza chiasso, in un futuro non lontanissimo (Il XXI secolo… entrava nel suo ultimo terzo) totalmente distopico, nel quale le pulsioni e le passioni che noi oggi viviamo e ci permettiamo ancora il lusso di assaporare sono ormai un vago ricordo affidato alla testimonianza dei nonni.

Siamo naturalmente in Francia, a Parigi. Il Paese (e probabilmente l’intero orbe terraqueo, anche se l’autore si astiene dal precisarlo, lasciandoci nel vago) è governato da un potere del tutto disincarnato, invisibile, ma più che presente e vigile. Un potere che è riuscito a creare, e capillarmente controllare, una totale e assoluta uguaglianza tra i cittadini. Come? Presto detto: attraverso un rigoroso, generalizzato livellamento sociale verso il basso, formulando ed erigendosi a custode e tutore di un rivoluzionario e semplicissimo concetto di uguaglianza: la totale assenza di libertà di movimento e di ragionamento, la perdita generalizzata di pulsioni, desideri e sensi di rivalsa, in quanto possibili attentatori alla libertà altrui, alla pace sociale. Uguaglianza come perdita di volontà di emergere, di concorrere, di aspirare a. Un mondo, una collettività di uguali, ciascuno dei quali vive nel proprio angolino, accontentandosi di un quieto tran-tran quotidiano nel quale non fa danni e dal quale non riceve danni.

Sì, qualcuno potrà dire che questo fondale politico richiama fortemente 1984 di George Orwell. Certamente, ma con una peculiare differenza, nella quale sta forse l’originalità del romanzo di Le Brogne. Il Grande Fratello di Orwell è un tiranno cattivo (per modellare il quale Orwell, avendo scritto il romanzo appena dopo la Seconda guerra mondiale, non può non richiamarsi alle dittature di Hitler e di Stalin). Il Grande Fratello di Orwell ha un volto, che compare ovunque e in continuazione, nei manifesti e nei teleschermi, ed entra in ogni casa. Il Grande Fratello di Orwell dispone e fa uso di un efficiente sistema di revisione della storia e di rielaborazione censoria della Verità.

L’Assoluto Potere che domina la società distopica di Le Brogne non ha neppure un volto. Anzi, possiamo affermare che si guarda bene dal mostrare il volto. Perché, esponendo le proprie sembianze, potrebbe stimolare, o anche solo suggerire, sentimenti e desideri di protesta o, al contrario, di invidia.

Il Potere di Le Brogne dobbiamo tutto immaginarcelo. Sappiamo solo (o, almeno, crediamo di capire) che è mosso non da smanie dittatoriali o tiranniche, ma da una sorta di pietas sociale, dalla preoccupazione di evitare il conflitto sociale, attraverso la totale abolizione degli stimoli individualisti che possono portare a deviazioni, alla limitazione della libertà altrui, ai conflitti. Il Potere di Le Brogne, insomma, attua l’Uguaglianza e la Pace Sociale, attraverso l’abolizione, o quanto meno il rigoroso controllo amministrativo, delle libertà individuali.

Nella Parigi di Le Brogne, allora, si va ancora allo stadio per tifare la squadra del cuore, ma le tifoserie sono rigorosamente separate da alte mura sormontate da filo spinato, e all’ingresso ogni tifoso è sottoposto a un vero e proprio interrogatorio per verificare che dica la verità in ordine alla sua appartenenza all’una o all’altra squadra.

Allo stesso accurato, minuzioso interrogatorio è sottoposto, in ogni stazione ferroviaria o di autobus, chi intende acquistare un biglietto per recarsi fuori della città in cui vive.

Perché il Potere ritiene che dietro l’intenzione di viaggiare possano annidarsi motivazioni sospette, contrarie alla pace sociale (che è garantita dalla pace sensoriale di ciascun individuo).

Per potersi spostare con il lussuoso drontax, piccola macchina volante capace di trasportare due persone di corporatura normale, ciascun cittadino ha a disposizione non più di due coupons ogni anno. Perché, lo ripetiamo, spostarsi dalla propria abitazione è un’eccezione, Un’eccezione sospetta.

A un ancor più invadente interrogatorio sono sottoposti (separatamente!) i componenti di una coppia che, non accontentandosi di ritrovarsi anche ogni giorno od ogni notte per farsi le coccole, intendono contrarre formale matrimonio per convivere. La procedura è complicata e dall’esito non sempre certo. Il PASS (Protocollo di Adeguamento Sociale della Sessualità) viene concesso malvolentieri, perché non può non essere sospetta l’intenzione di creare, con la formalità del matrimonio, un – se pur piccolo – nuovo assetto nella galassia sociale.

Ed è proprio a conclusione di questo interrogatorio prematrimoniale a cui è costretto a sottoporsi che Théo, il giovane protagonista del romanzo, viene investito dal germe del dubbio, dal desiderio sempre più crescente e fastidioso di capire se la sua vita sia o non sia governata da un sistema oppressivo.

E così Théo intraprende un viaggio, segue un itinerario che lo porta anche in luoghi dell’infanzia, alla ricerca di… se stesso?, la verità?, quale verità?, verità su che cosa?, sui dettagli della misteriosa scomparsa del padre nelle acque dell’Atlantico?, sui motivi che hanno spinto Léa, la fidanzata, a dissociarsi da lui in alcune scelte?

Mi sono appositamente accanito sui punti interrogativi, perché il viaggio di Théo, nonostante sia breve spazialmente (sulla carta stampata, meno di 200 pagine), è tanto fitto di interrogativi, di domande che il protagonista si pone, spesso con angoscia, che a ogni punto interrogativo il lettore deve riprendere fiato e liberarsi da un leggero ma fastidioso senso di soffocamento.

Non diremo molto altro, se non che l’approdo di Théo alla verità finale sarà costellato da tante di quelle difficoltà burocratiche, da apparirci banali, del tutto imparagonabili, le pastoie burocratico amministrative a cui siamo avvezzi e che ci riempiono di bile. Quisquilie, al confronto.

Bellissima la terza parte del romanzo (Terza parte: Il raccoglimento), dedicata all’incontro di Théo con un monaco dell’abbazia di Solesmes. Le Brogne ci regala un piccolo gioiello di eleganza e profondità, offrendo al lettore, annichilito dalla distopia di un futuro che stiamo, volenti o nolenti, allestendo proprio oggi e con le nostre mani di cittadini consenzienti, uno spunto di speranza, uno spiraglio di diradamento della cappa pestifera, tutto e solo fondato sulla spiritualità, sul bisogno del trascendente.

E forse capiterà anche a voi quel che è capitato a me: accorgermi solo chiudendo il libro sull’ultima pagina di aver letto un romanzo e non solo un profondo, inquietante capo d’accusa.

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