Parli del Vietnam e voli col pensiero a una guerra sanguinosa e nefasta che ha portato morte, distruzione, e fatto conoscere questo Paese al grande pubblico attraverso una serie di film di matrice americana segnando l’immaginario collettivo.
In realtà, da alcuni decenni, il Vietnam ha saputo voltare pagina nel segno di una volontà che affonda le sue radici nel passato. Franco La Cecla ci restituisce il quadro attuale, speranzoso e proiettato nel futuro, di un popolo che ha conosciuto troppo spesso l’asprezza dello scontro, venendone indebolito e decimato senza uscirne mai domo.
L’Ottimismo del Drago, edito da Treccani, è un racconto di viaggio in prima persona che attraverso una narrativa sincera e delicata, con uno stile mai troppo partecipato, ci consegna le informazioni tipiche di un saggio letterario. L’autore, in questa opera, sceglie di introdurci nel Paese attingendo ai ricordi di alcune sue visite succedutesi a distanza di venti anni.
Ma andiamo per gradi.
L’esperienza di La Cecla in Vietnam inizia alla fine degli anni ’90, quando il Paese è già diventato membro dell’Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale, ha ristabilito relazioni diplomatiche ufficiali con gli Stati Uniti d’America e la capitale è la placida Hanoi di un milione e mezzo di abitanti. È proprio questo termine, placida, che l’autore usa per definire la città paragonandola all’allora più dinamica Saigon (Ho Chi Minh City) nel sud del Paese. Oggi Hanoi conta invece quasi nove milioni di abitanti, stando alle stime più attendibili, ma alla furia edilizia e al traffico impazzito tipico delle moderne città asiatiche, contrappone ancora la città vecchia delle 36 strade, dove la vita si è evoluta meno bruscamente percorrendo con pazienza le orme della civiltà orientale. Qui, La Cecla ci presenta un quadro tipico di vecchie botteghe, merci, festoni, tessuti, lampade, mestieri, anguille, ceste; si tratta di un tessuto sociale ancorato alle proprie origini, di una popolazione che si accampa ai bordi delle vecchie arterie interne cucinando, riposando e lavorando ad alta voce, come in una rumorosa fiera.
È qui che pulsa il cuore del Vietnam, la parte più autentica di un popolo che La Cecla mostra di aver conosciuto davvero. Un popolo composto da cento milioni di persone in continua crescita (quasi eccessiva, diremmo), un popolo giovane, dove il 70% degli abitanti è al di sotto dei 35 anni. E sono proprio i giovani a rappresentare la fresca e reale speranza di questo Stato stretto e lungo ma grande quanto l’Italia, schiacciato verso il mare dall’ingombrante e onnipresente Cina. Sono i giovani, che lo scrittore rende protagonisti, a non aver conosciuto lo spettro della guerra e a mantenere uno sguardo puro verso il prossimo futuro.
Il Vietnam ha da subito ammaliato La Cecla, fin dalle sue prime visite. Lo scrittore ne subisce il fascino, è ammirato dall’intensità di una vita ancora semplice e da un paese che vanta una tradizione letteraria di tutto rispetto (Viet Than Nguyen, trasferitosi con la famiglia negli Stati Uniti, ha vinto il Pulitzer nel 2016 con Il simpatizzante). Ad aver segnato di più il narratore è stato lo scrittore Nguyen Huy Thiep, intervistato e presentato ai lettori come l’uomo che, con il romanzo Il generale in pensione non ha esitato a dipingere le disillusioni di un’intera generazione nell’immediato dopoguerra, tanto da destare scandalo nel suo paese e da meritare le attenzioni del regime. Lo stesso regime che dagli anni ’90 ha percepito la necessità di iniziare ad aprirsi al mondo per non esserne allontanato, distaccato, dietro la costante spinta del popolo che ha preteso di recitare la parte del protagonista nella riscrittura del proprio destino.
Nel libro si parla di speaking out, citando le parole dello studioso australiano Benedict Tria Kervliet, riferendosi alla determinazione dei vietnamiti di esserci, di reagire concretamente e pacificamente alla situazione politica del paese. Ad esempio, trascurando terre statali in favore di orti privati, o con atti pubblici di disapprovazione, sistematici, per trascinare l’autorità verso una transizione indirizzata dal centralismo a una consapevole economia di mercato. Nel presente, questo metodo è stato riutilizzato dagli operai per migliorare le condizioni lavoro, per combattere la corruzione di funzionari e contrastare il regime nell’intento di variare la rotta di un paese che deve guardare in faccia all’avvenire.
La Cecla, tra le sue righe, si meraviglia di ritrovare a distanza di venti anni un paese radicalmente cambiato ma non devastato dal moderno progresso. Abbandonando i ritmi sostenuti della capitale, si lascia indirizzare da alcuni amici che lo invitano a visitare una zona costiera centrale, lontana dal turismo di massa che pure, negli ultimi anni, sta prendendo sempre più d’assalto questo grazioso angolo orientale. È in questa zona che fa la conoscenza di quelle persone (la stragrande maggioranza) che si dedica ancora all’agricoltura nel segno di un dovere più che di un mestiere, contribuendo alla crescita del PIL ma mantenendo i piedi ben piantati a terra nella consapevolezza che questa – la terra – potrà rappresentare il prezioso futuro. Gli abitanti delle campagne vivono in modo ordinato e dignitoso ai bordi delle coltivazioni, come ci fa osservare lo scrittore, distribuendosi lungo i canali che riforniscono di acque i campi. Si tratta di un territorio verde, tropicale, intervallato da macchie ricche di frutti e da foreste e spazi umidi dove non si disdegna l’allevamento di pesce.
Alla fine, lo scrittore fa ritorno a Hanoi e si intrattiene con amici per sapere come la popolazione percepisca l’idea di sviluppo, di futuro. Ne ricava un disegno positivo, ottimista, quello di una nazione che ha saputo far tesoro del passato.
La guerra, in Vietnam, ha picchiato duro e per quanto lo stia ancora facendo nel resto del pianeta, il rischio è quello di ricaderci. La convinzione è che, dagli scontri, i popoli abbiano solo da perdere e che sia meglio abbandonare vecchi rancori mirando a rapportarsi pacificamente senza lasciarsi inghiottire dalle grinfie di un’ammaliante globalizzazione.
Franco La Cecla
Antropologo e scrittore, insegna Antropologia del consumo e Antropologia delle religioni all’Università IULM di Milano ed è consulente dell’Istituto italiano di cultura di Delhi. I suoi libri più recenti sono Modi bruschi. Antropologia del maschio (Eleuthera, 2022), Tradire i sentimenti (Einaudi, 2023), Addomesticare l’architettura (UTET, 2024), Convincere Dio (Einaudi, 2024). Con Virgilio Sieni ha curato la coreografia Gitanjali alla Bîkâner House di Delhi nel 2024.
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