Recensione: “Morire per le idee”, il libro che parla di morte ma nasconde il segreto per una vita felice

Recensione: "Morire per le idee", il libro che parla di morte ma nasconde il segreto per una vita feliceÈ una funzione maieutica, quella di parlare di un tema fingendo di trattarne un altro – delicatezza affabulatoria che mi capita sempre più spesso di rintracciare in latitudini molto lontane dalla mia, o in culture che, generalmente, mi appaiono tematicamente distanti.

Va detto che Costica Bradatan, filosofo romeno, autore di un bellissimo saggio dal titolo Morire per le idee (Il Saggiatore) si è naturalizzato statunitense, ma non ha rinunciato a calarsi nelle tenebre dei grandi temi dell’esistenza, o comunque a farlo in una certa maniera.

Morire per le idee è un saggio che analizza e sviscera il tema della cosiddetta fine eroica di alcuni tra i più grandi filosofi della storia come Socrate, Thomas More, Giordano Bruno e altri come Ipazia, Patočka e Pier Paolo Pasolini.

È un saggio, quello di Bradatan, dove, come scrivevo sopra, apparentemente si parla di morte; ma in cui, per dire la verità, si tenta, senza dare ricette ovvie e banali, di tracciare una sorta di viatico per un’esistenza serena, appagata e appagante, senza sfruttare valori generici come la libertà (declinabili cioè sotto ogni punto di vista, e quindi facilmente manipolabili anche da chi non ha le idee chiare), bensì attraverso la coerenza e la costruzione di sé stessi a partire dalle proprie idee, le quali, a differenza dei nostri corpi – afferma Bradatan – restano, soprattutto quando si fanno polvere, in una specie di percorso inversamente proporzionale in cui più si muore fisicamente più lo spirito dei nostri postulati si ferma.

Una fine tanto voluta influisce in maniera profonda e al contempo duratura, sulla vita di coloro che restano: ne indirizza il giudizio morale, ne plasma il punto di vista su ciò che conta davvero, e ne pervade la concezione di cosa voglia dire essere umani. Finisce per diventare parte della loro memoria culturale. Talvolta pesa persino sulle loro coscienze e gli obbliga ad agire.

Bradatan, con il suo saggio, compie quindi tre operazioni meritorie: alza l’asticella, partendo dai grandi e non da sé stesso, tracciando però un percorso comprensibile da chiunque; scrive un libro ex novo partendo da un tema e dai grandi personaggi che l’hanno sviluppato concretamente, con la loro vita e il loro esempio; e, infine, compone un’opera moderna sulla nostra attualità, dove il martirio è divenuto il narcisismo insopportabile di certi opinionisti e/o influencer, e il tema del sacrificio viene volutamente confuso con quello del generico impegno.

Bradatan, dunque, non parte dal mondo, ma da coloro i quali vollero fare qualcosa in più rispetto al famigerato uomo della strada, arrivando a sacrificare loro stessi perché consci del fatto che, continuando a fare filosofia e basta le loro idee non si sarebbero mai potute far spazio nella mente delle moltitudini.

E, a questo punto, il buon Costica compie un’ampia analisi sull’autonarrazione –volontaria o involontaria – compiuta dai filosofi stessi, in cui le grandi figure alle quali accennavo prima si sarebbero organizzate, ciascuna a suo modo, per costruire (anche nel senso più tecnico della parola) una sorta di percorso promozionale.

Questo capitolo, molto ben sviluppato, è quello che trovo sinceramente un po’ più debole rispetto agli altri: 1) perché non ne abbiamo le prove 2) perché pur accettando il postulato secondo il quale puoi ribellarti quanto vuoi ma se nessuno lo sa è come se non ti fossi ribellato mai, penso che si presti a facili o interessati misunderstanding, quando invece nel libro di Bradatan il punto fondamentale è che la grandezza è un’idea concreta ma fragile come un bonsai: occorre cura e umiltà (vale a dire qualità dell’attenzione), perché le idee non bastano.

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