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Recensione: “La Questione dei Cavalli” – La storia assurda di un film western a Venezia

Recensione: "La Questione dei Cavalli" - La storia assurda di un film western a Venezia Recensione: "La Questione dei Cavalli" - La storia assurda di un film western a Venezia

La questione dei cavalli
di Arianna Ulian,
edito da Laurana Editore nella collana Fremen.

La Questione dei Cavalli di Arianna Ulian narra una storia atipica:
Un regista visionario decide di girare un film Western a Venezia, tra i calli, con la partecipazione della popolazione locale e con dei veri cavalli.
Lo sbarco di questi cavalli però sfocia in una serie di problematiche e di misteriosi eventi, tra i quali la loro sparizione.
Spettatori e attori di queste vicende sono gli abitanti del luogo e tra questi, gli adepti al ”mucchio selvaggio”. Questi ultimi, impossessatisi dei costumi di scena, con l’uso della violenza tentano di opporsi ai cambiamenti portati alla città dalla troupe cinematografica.
Sullo sfondo della storia, Momo, un bimbo ipersensibile, cerca di comprendere quali dinamiche abbiano portato alla sparizione di questi cavalli.
La scrittura in questo romanzo è minuziosa e perfetta come un merletto di Burano, mai ridondante, delicata eppure potente nelle descrizioni di luoghi, personaggi, stati d’animo. È incredibile come l’autrice riesca a “vestire” e definire un personaggio solo attraverso la descrizione del suo pensiero.
La sua visione di Venezia è molto suggestiva ma forse proprio per questo più tangibile. L’autrice racconta di una città che sa di acqua, di umidità , di vicoli, di odori, di cattivi odori, di muffe sui muri, di pensieri degli abitanti e del loro modo di camminare.
Una mano che tocca un muro, una camminata che attraversa un ponte, uno sguardo che coglie un segmento di luce tra i calli, una donna che sente sul corpo umidità e punture di zanzare, un cavallo che annaspa tra spruzzi e aria satura, sono gli elementi mediante i quali l’autrice riesce a condurci nei luoghi intimi della città e riesce a farlo mediante il racconto del sentire, non del vedere.
Un sentire che turba, coinvolge e sconvolge.
Turba per quanto sono grotteschi molti dei personaggi.
Turba il sentire dei cavalli affaticati.
Turba il sentire di Momo, l’iperattivazione dei suoi sensi e la reiterazione non dei suoi pensieri, bensì delle emozioni che scaturiscono dai suoi pensieri.
Turba la storia assurda di un film western a Venezia.
Il mio stesso approccio a questo libro è stato singolare.
Sono stata turbata da questo genere quasi visionario, come se fossi davanti a un film di Fellini o a una tela di Picasso.
Devo ammettere che nel leggerlo, da ansiosa e refrattaria alle novità quale sono, mi sono sentita come “un film western a Venezia”.
Fuori luogo.
Del resto la vita mi ha insegnato che è l’assurdo ad acuire i nostri sensi, a risvegliare la curiosità e anche un pizzico di morbosità e che è nelle pieghe dell’ignoto, dove si incontrano le nostre ombre, che si ricompone la nostra vera essenza.
Mi sono ritrovata come molti dei personaggi, dietro un vicoletto a spiare i sussurri della storia e a desiderare di scoprirne il finale.
Ogni parola nel romanzo è un sussurro, un gemito che nasce da dentro tranne in un caso: quando racconta la violenza, quella di chi tenta di snaturare Venezia, di snaturare i cavalli e gli abitanti del luogo.
È questa dissonanza nei toni a definire in modo quasi naturale, nel corso della lettura, i buoni e i cattivi.
La conclusione del libro invece consola ed è reale. Reale come la percezione che i buoni, con la loro empatia siano riusciti a riportare ogni cosa al proprio naturale corso.
Come in un vero film Western.
Come in un vero libro Western.
Questo.

Arianna Ulian è nata nel 1975. Vive a Venezia, in sestiere Cannaregio, qui alla sua prima prova narrativa, racconta con assoluta naturalezza – e con una lingua impeccabile – una storia impossibile.

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