Eduardo De Filippo e “Napoli milionaria”: il dramma della rinascita tra macerie morali e speranza

Eduardo De Filippo e "Napoli milionaria": il dramma della rinascita tra macerie morali e speranzaUn soldato torna a casa dopo mesi di guerra e prigionia. Tutto è cambiato: la moglie, i figli, persino l’umile basso napoletano che un tempo chiamava casa. “I biglietti da mille lire fanno girare la testa”, dice amaramente Gennaro Iovine, protagonista di una delle opere più potenti del teatro italiano del Novecento.

L’urgenza di raccontare le ferite di una città

“Napoli milionaria” nasce nel 1945, appena poche settimane dopo la liberazione della città. Eduardo De Filippo, con l’intuito di chi ha vissuto sulla propria pelle il dramma della guerra, scrive un’opera che è insieme testimonianza storica e manifesto morale. La rapidità della stesura non è casuale: c’era bisogno di dare voce immediata a una città ferita, sconvolta, trasformata dalla guerra in modo irreversibile.

La pièce andrà in onda sabato 1° novembre alle 20.30 su Rai Storia, nell’ambito di “Passato e Presente”, con Paolo Mieli e lo storico David Bidussa che ne approfondiranno significato e contesto storico, in occasione dell’anniversario della scomparsa del grande drammaturgo napoletano.

Il ritorno impossibile: quando casa non è più casa

Il nucleo drammatico dell’opera è il ritorno. Gennaro Iovine rappresenta migliaia di soldati italiani che, dopo aver combattuto e sofferto, tornano a casa sperando di ritrovare la vita di prima. Ma quella vita non esiste più. La moglie ha dovuto sopravvivere, i figli sono cresciuti troppo in fretta, la città intera si è trasformata in un organismo irriconoscibile dove le regole morali di un tempo sembrano evaporate.

Eduardo non giudica, ma mostra. Con la lucidità spietata dell’artista che è anche testimone, mette in scena una Napoli dove la borsa nera è diventata economia quotidiana, dove la prostituzione rappresenta una scelta di sopravvivenza, dove il tessuto sociale si è dissolto sotto il peso della guerra. “I biglietti da mille lire fanno girare la testa” non è solo una battuta: è la sintesi di un mondo dove il denaro facile della borsa nera ha sostituito i valori, dove l’apparenza della ricchezza improvvisa copre il disfacimento morale.

Un’opera dalle alterne fortune

“Napoli milionaria” ha avuto nel tempo un’accoglienza contrastante. Troppo cruda per alcuni, troppo legata al momento storico per altri, l’opera ha attraversato fasi di grande successo e periodi di minor fortuna. Eppure, proprio questa capacità di dividere, di suscitare reazioni forti, testimonia la potenza del testo eduardiano. Non è teatro di evasione, ma teatro che costringe a guardare in faccia la realtà, anche quando fa male.

Il dramma racconta una specifica stagione storica della città partenopea, quella del dopoguerra immediato, ma al tempo stesso parla di qualcosa di universale: cosa succede all’animo umano quando le strutture sociali crollano, quando la sopravvivenza diventa l’unica legge, quando il ritorno alla normalità sembra impossibile.

Lo spaccato indimenticabile di una Napoli sospesa

Eduardo De Filippo ci ha lasciato con quest’opera uno degli spaccati più memorabili e veritieri della Napoli del dopoguerra. Non la Napoli da cartolina, non quella dei clichè folkloristici, ma una città reale, con le sue contraddizioni, le sue ferite, la sua capacità di sopravvivere anche quando tutto sembra perduto.

Le scene nel basso napoletano, gli scambi tra i personaggi, la rappresentazione della borsa nera non come fenomeno criminale astratto ma come rete di relazioni umane, tutto contribuisce a creare un affresco di straordinaria autenticità. Eduardo scrive da napoletano per napoletani, ma la sua opera trascende i confini cittadini e diventa documento universale su cosa significhi ricostruire dopo una catastrofe.

“Addà passà a nuttata”: la battuta che divenne filosofia

Da “Napoli milionaria” viene una delle frasi più celebri non solo del teatro napoletano, ma dell’intera cultura italiana: “addà passà a nuttata”. Deve passare la notte. Tre parole in dialetto che racchiudono una filosofia di vita, una forma di resistenza, una speranza ostinata.

Non è rassegnazione passiva, ma accettazione attiva della sofferenza con la certezza che, per quanto lunga e buia possa essere la notte, alla fine arriverà il giorno. È la risposta napoletana, e quindi mediterranea, al dolore: resistere, sopravvivere, aspettare che passi il momento peggiore senza perdere la capacità di sperare. Questa battuta è diventata proverbio popolare, citata in contesti che vanno ben oltre il teatro, proprio perché esprime qualcosa di profondamente radicato nell’animo di chi ha dovuto, nel corso della storia, sopravvivere a momenti bui.

L’eredità di Eduardo tra cronaca e poesia

Settant’anni dopo, “Napoli milionaria” continua a parlare. Parla della fragilità delle strutture morali quando vengono sottoposte a pressioni estreme. Parla della differenza tra chi la guerra l’ha combattuta e chi è rimasto a sopravvivere in città. Parla del prezzo che le donne hanno pagato durante e dopo il conflitto. Parla di come una società si disgrega e, faticosamente, cerca di ricomporsi.

Eduardo De Filippo ha avuto il coraggio di scrivere quest’opera quando le ferite erano ancora aperte, quando sarebbe stato più facile offrire al pubblico l’evasione piuttosto che lo specchio. Ha scelto la verità, anche quando scomoda, e proprio per questo “Napoli milionaria” resta un capolavoro imprescindibile per comprendere non solo quel particolare momento storico, ma la natura stessa del teatro come strumento di riflessione collettiva.

La notte è passata, come diceva Eduardo. Ma il suo teatro ci ricorda che cosa è costato aspettare l’alba.

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