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La caotica scrivania di Lorenza – Nuovi incantesimi. Il fascino perverso del «copia e incolla, non condividere»

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Potrei aver scritto questo pezzo anni fa (diciamo che la faccenda è iniziata più o meno nel 2009), cambierebbe poco. E non escludo di riciclarlo pari pari anche in futuro. Apparentemente, il tema è secondario e di sicuro non nuovo. Periodicamente, infatti, le bacheche Facebook di molti sono invase da messaggi di questo tipo (riporto una delle ultime versioni, ma il formulario, sia pure strutturato secondo un medesimo schema, può essere vario):

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Come si vede, si tratta di un post piuttosto lungo per gli standard di attenzione dell’utente tipo di facebook (si dice che siano addirittura inferiori a quelli di un pesce rosso, intorno agli 8 secondi): il che può spiegare, almeno parzialmente, il suo inaspettato successo. Uno legge rapidamente, non si sofferma sui dettagli e, probabilmente pensando «male non farà», copia-incolla e via. In ogni caso, non si tratta della prima volta che sciocchezze del genere si propagano in Rete: sono come attacchi di febbre terzana, periodicamente i social si infiammano. Più o meno, il meccanismo è questo:

– fase 1: parte la diffusione a tappeto dell’ultimo «copia-incolla» che diffida Facebook dal compiere indicibili nefandezze con i nostri dati e il nostro profilo;

– fase 2: gli amici più accorti dell’ingenuo di turno si affannano ad avvertirlo, nei commenti, che si tratta di una bufala; le reazioni del malcapitato colto in castagna sono talvolta sorprendenti: raramente si ringrazia e si cancella il post; più spesso si risponde con fastidio e diffidenza (“nel dubbio, che male può fare?” oppure “ma io l’ho condiviso per scherzo, volevo vedere chi ci cascava”); infine, può capitare che si accetti il rimbrotto, ma che, semplicemente, non si sia in grado di eliminare il post;

– fase 3: si diffondono, in reazione, i post che tentano di spiegare nel dettaglio i motivi per cui si tratta di una stupidaggine, nella speranza (ovviamente vana) che qualcuno degli imprudenti vettori di questa malaugurata infezione comunicativa, leggendo, si penta e ripulisca il suo profilo: ma, il più delle volte, il vaccino è inefficace; non mancano coloro che, esasperati dalla dabbenaggine di alcuni «amici» feisbucchiani. li insultano senza complimenti (“avete disattivato il cervello”) o minacciano radicali bonifiche del proprio profilo attraverso la cancellazione massiva dai contatti di quanti siano caduti nel trappolone;

– fase 4: infine, arriva il momento di meme e post satirici, alcuni, devo dire, molto spiritosi, anche se un po’ crudeli: ma la pazienza scappa, di fronte a cotanta stoltezza, e ti porta ad essere cattivo;

– fase 5: il contagio, per il momento, si attenua e apparentemente scompare, per ripresentarsi, a distanza di tempo, simile a sé stesso: e il ciclo ricomincia.

In tutta questa faccenda, ormai nota e, a modo suo, divertente, anche se ripetitiva, ci sono tuttavia alcuni aspetti preoccupanti. Proverò ad elencarli brevemente.

Prima di tutto, non sempre chi cade nell’inganno appartiene alla categoria degli incolti «analfabeti funzionali». Vero è che si tratta per lo più di boomer impenitenti, ma non di rado sono persone che, altrimenti, condividono post intelligenti e pensosi. E sanno anche dove mettere correttamente la mutina! Negli anni, ho incrociato persino qualche docente universitario, per dire. Ecco, in particolare quando si tratta di insegnanti (e, nella mia esperienza, non sono pochi quelli che ci cascano), la questione si fa seria. Una delle articolazioni dell’educazione civica a scuola è, appunto, la cittadinanza digitale. Come si può insegnarla, o almeno discuterne, se poi sui social si dimostra platealmente la propria incompetenza? Siamo ormai nell’epoca di ChatGPT ed è chiaro che i sistemi di intelligenza artificiale generativa imporranno nel prossimo futuro alla scuola sfide difficilmente eludibili. Ma se si abbocca con tanta facilità ad un testo così assurdo e sgrammaticato, quali possono essere le chance di fronteggiare adeguatamente strumenti ben più sofisticati e insidiosi per il modo tradizionale di fare lezione (e, più in generale, per l’ecosistema informativo nel suo complesso)?

In secondo luogo, si tratta di una questione di affidabilità. Chiaramente questi «esperimenti sociali», perché di esperimenti sociali si tratta, rappresentano il limite estremo della credulità social e, alla fine, sono abbastanza inoffensivi (in ultima analisi, danneggiano solo la reputazione di chi abbocca). Ma, da un altro punto di vista, dimostrano quanto sia facile rimanere invischiati in trappole propagandistiche ben più pericolose: la radice di ogni complottismo, in fondo, risiede proprio nella superficialità con cui l’utente medio accede all’informazione. Si crede alla prima stupidaggine che si legge, si tralascia ogni verifica, e si procede con la condivisione più o meno indignata: da «facebook sta diventando un ente pubblico» (no, fatemi capire, come l’INPS o l’Agenzia delle Entrate?) al terrapiattismo, il passo è più breve di quanto si creda.

Esiste anche un terzo punto. Chi sono i geni del male che partoriscono queste mostruosità comunicative? e perché lo fanno? Si tratta solo di una perversa forma di divertimento alle spalle di masse poco attrezzate? In genere, questi post si diffondono quando Facebook annuncia un cambiamento delle condizioni relative alla privacy e dei termini di utilizzo dei nostri dati e invia la relativa notifica. L’incapacità diffusa di leggere un testo di media difficoltà con implicazioni giuridiche gioca la sua parte. E visto che tutti, più o meno, abbiamo sentito parlare di profilazione e furto dei dati su internet, nonché di algoritmi malandrini che sfuggono al controllo umano, il panico spinge sul nostro acceleratore psicologico. Ma non escluderei che proprio questo genere di post contribuisca alla profilazione degli utenti più vulnerabili alle stupidaggini e alle truffe. Perché, fra l’altro, si tratta proprio di persone che mancano del più elementare know how rispetto alla tutela delle loro informazioni personali: non saprebbero trovare le impostazioni della privacy su Facebook nemmeno se guidati per mano.

Infine. Ho perso un po’ di tempo a scrivere questo post, ma non mi illudo che possa essere utile più di tanto a bonificare l’ambiente comunicativo nel quale la maggioranza di noi si muove. Visto che, come accennato all’inizio, la faccenda va avanti, a ondate, più o meno dal 2009, mi è capitato di avvertire dell’inganno i miei contatti. Che magari mi hanno ringraziato e hanno assicurato di aver capito. Salvo poi ricadere in pieno nella successiva epidemia di sciocchezze. È come se la fazione dei «consapevoli» e quella degli «ingenui» fossero incapaci di comunicare e, ogni volta, l’automatismo della condivisione impulsiva e irriflessa avesse la meglio. Sconfortante.

Eppure, bisogna continuare a provare. Forse si riuscirà a strappare qualcuno a questo maldestro incantesimo. E, per fortuna, va detto, i più giovani sfuggono facebook come la peste e di queste stupidaggini, essenzialmente generazionali, sghignazzano.

In ogni caso, se avete creduto a «Larry» e a «Tim Barker» (ma chi sono?), vi invito a non mortificarvi troppo.
In fondo, parafrasando Forrest Gump,
boomer è chi boomer fa.

Avrete modo di ravvedervi  🙂

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