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La luna storta di Francesco Tozzi – A come…

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A come…

“I nonni dei nonni” li chiamavano.
Due facce prese direttamente da un romanzo di Verga (o di Capuana) con due caratteri da commedia dell’arte.
Erano i miei bisnonni materni, Antonio e Teresa (detta “la camorrista”).
Li potevi sentire litigare da lontano un miglio, in quel di Val Maestra – che poi era lei che litigava con lui: dopo un’intera giornata passata a spezzarsi la schiena nel campo, al povero bisnonno toccava pure sorbirsi la furia della bisnonna.
Il motivo? “Non c’era” racconta mia mamma “hai presente quelli che dicono – se non fumo non respiro – ? La nonna se non legnava il nonno, non si acquietava”.

Ora, uno se ne starebbe volentieri single, spaparanzato sul divano a guardare le partite del Milan di Sacchi a ripetizione, munito di birra gelata e patatine; ma sapete com’è? C’è qualcosa chiamata vita che ci calamita verso esseri di sesso opposto, chiamati donne, e allora no, non possiamo starcene con le mani in mano.

Capita però che, al giorno d’oggi, tutto debba essere definito, tutto debba avere un nome; e che, quel nome, debba piacere a tutti, debba rassicurare, far felice l’una e l’altra parte, per forza.
Allora quelle cose chiamate relazioni partono non con il freno a mano, ma proprio con le ganasce.
Sì ragazz*, perché – e mi spiace dirlo – questa spasmodica ricerca della perfezione e della felicità a cosa può portare, mi chiedo, se non a contemplare la solitudine come unica soluzione possibile?

Stare insieme non ha niente a che vedere né col fare quel che vogliamo né tantomeno con lo stare bene. O almeno: l’obiettivo dovrebbe essere stare bene in due, giusto? Ok. Il che significa che, a volte, a qualcosa bisognerà rinunciare, fare un passo indietro, no?

No.

No, non è così. Non è così. E quelle pagine instagram dove qualcuno ti spiega – motivandoti, dice – come bisogna vivere “una relazione sana” io le chiuderei; arresterei i tipi che le gestiscono e butterei via la chiave.
E’ il tema della ricerca della felicità, la più grande minchiata messa su dai mass media negli ultimi vent’anni e portata alla ribalta dall’orrendo, lacrimevole e retorico film di Gabriele Muccino.

La felicità non è una cosa che si può trovare. Essa è il risultato di tanti fattori che si uniscono e di come ti rapporti con la vita. E’ la felicità (o l’infelicità) che viene a cercare te.
Quale poeta greco parla della ricerca della felicità? Nessuno. Parlano della ricerca dell’amore, della bellezza. Cos’è la felicità? E’ qualcosa che concretamente non esiste.
Allora diciamo la verità: esistono dei prodotti da vendere in grandi quantità, viene impostata tutta una campagna di comunicazione sul fatto che se compri sarai felice, e il gioco è fatto.

Esistono modelli da proporre e imporre, esistono atteggiamenti da rivendere come giusti e/o efficaci per vivere la vita e convincere gli altri a un’eterna utopica inutile ricerca.
Andare a cercare nel buio qualcosa che non c’è non è competenza dell’Uomo; ma dell’Eroe.
Noi non siamo eroi; almeno, non lo siamo tutti. C’è l’eroe, ma è uno. Non possono essercene cento.

Eppure, ora che al tempo del pesce si va sostituendo quello dell’acquario, le idee sono confuse, i Cristi si moltiplicano, i punti di riferimento sfumano.

Aggrapparsi al primo che incontriamo sulla rete solo perché parla un linguaggio a noi familiare è quanto di più pericoloso si possa fare.

Perché quando capiremo, finalmente, di non essere degli eroi, non ci resterà altro da fare che far finta di crederlo.

Cercare l’equilibrio nel disequilibrio, questo possiamo fare. La perfezione in un secchio di fango, svuotandolo, convincendoci che sono i progressi giornalieri a contare. Non altro.

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