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Recensione: “Ali & Ava – Storia di un incontro” – La musica, linguaggio universale contro le solitudini

Recensione: "Ali & Ava – Storia di un incontro" - La musica, linguaggio universale contro le solitudini Recensione: "Ali & Ava – Storia di un incontro" - La musica, linguaggio universale contro le solitudiniLui è un proprietario di immobili di origine pachistane, lei una maestra di sostegno di origini irlandesi. Lui viene dalla perdita di un figlio, mai nato, lei di figli ne ha tre. Lui ama la musica ritmata, rap compreso, lei il jazz e la musica folk.

Eppure Alì e Ava finiranno per incontrarsi, proprio mentre il primo affronta una fresca separazione con la difficoltà di informarne una famiglia tradizionalista e lei sta ancora elaborando il lutto della morte del suo ex marito. Le differenze tra i due non sono certo di poco conto, le culture di provenienza sono diversissime, sebbene entrambi siano perfettamente integrati nel tessuto sociale britannico. Sarà un incontro in cui il linguaggio universale della musica avrà un ruolo fondamentale.

Ali & Ava – Storia di un incontro, da oggi nelle sale italiane, chiude idealmente la trilogia dello Yorkshire da parte della regista Clio Barnard, iniziata con The Selfish Giant e proseguita con Dark River, in cui ha dimostrato di avere una particolare maestria nel trattare grandi temi sociali con un tocco intimista. Se da un lato si paga il giusto tributo al lavoro di Ken Loach, non si può non riconoscere anche l’eco di un capolavoro come La paura mangia l’anima  dell’immenso Rainer Werner Fassbinder. Certo, rispetto al pessimismo cosmico fassbinderiano, qui troviamo innegabilmente dei raggi di sole, ma la tensione delle differenze culturali si percepisce forte non tanto nei due protagonisti, quanto nelle rispettive cornici familiari.

Saranno proprio le famiglie i contraltari del nascente sentimento tra i due, quasi a soffocare l’emozione da zero a cento di due cuori così desiderosi di felicità. Proprio nel contesto familiare esploderanno le maggiori criticità, talvolta con la forza tagliente di parole e sguardi, altre volte con la violenza fisica di un figlio che non può accettare, in primis, che la madre abbia un nuovo compagno. Pachistano, poi!

Ancora una volta, sarà la musica l’ancora di salvezza di Alì e Ava, accompagnando le scene di intima solitudine dei due, tra lacrime e urla liberatorie, nel chiuso di una stanza o all’aperto, in equilibrio sull’auto in mezzo alla nebbia. E, come già ricordato, sarà il loro trait d’union, per una storia che non viene mai urlata ma solo tratteggiata: su tutti, non si vedono mai scene di sesso, sebbene l’incipit sia chiaro, ma bensì l’inquadratura indugia su mani intrecciate e abbracci.

Sullo sfondo, la periferia di Bradford, dove le varie immigrazioni si integrano senza perdere i loro tratti caratteristici: suggestiva la scena nella quale gli irlandesi danzano sulle note della canzone tradizionale Grace. E la vita, che scorre scandita dal lavoro, evidenziato da qualche inquadratura delle fabbriche, simbolo per antonomasia della working class, cornice mai invasiva ma sempre ben presente nei 97 minuti di Ali & Ava – Storia di un incontro.

Il film è candidato a due premi BAFTA, il più prestigioso premio cinematografico britannico, come miglior film e migliore attore protagonista, consolidando lo status della regista tra i più importanti filmmaker contemporanei della scena arthouse. Una segnalazione, infine, per la recitazione dei due protagonisti, Adeel Akhtar e Claire Rushbrook (già vista in Segreti e Bugie di Mike Leigh), intensi e naturali nei loro rispettivi personaggi, Alì e Ava.

 

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