Recensione: “Bruma Serenissima”, Venezia noir oltre la cartolina

Recensione: "Bruma Serenissima", Venezia noir oltre la cartolinaDimentichiamoci della Venezia scintillante, quella del Festival del Cinema, la città magica presa d’assalto dai turisti che girano garruli per le calli con lo Spritz colorato in un bicchiere di carta. Lasciamo in stand-by l’immagine iconica e sfruttata dei piccioni di Piazza San Marco… facciamolo, almeno per il tempo della lettura di questo romanzo noir raffinato e visionario.

Già, perché Venezia è anche altro: è mistero, è silenzio, è legame ostinato con un passato al quale vecchi nostalgici, magari appartenenti a nobili casate, rimangono attaccati con ostinazione.

Umberto Montin, con il suo ultimo giallo Bruma Serenissima, uscito per Mursia, collana Giungla Gialla, ci presenta una Serenissima inedita, sconcertante e inimmaginabile per noi consumatori dalla scarsa immaginazione:

Venezia assediata dal virus. Venezia abbandonata dal suo petrolio e dalla sua droga. Da tutto ciò che la insozzava ma la rendeva ricca. Venezia senza i suoi turisti. Venezia buia. Venezia il cui rivolo nero s’infilava fin dentro il suo cuore.

Perché Venezia, la città dalle tinte pastello sospesa tra acqua e cielo, è la coprotagonista di questa storia nera, dove il male si muove tra le maglie di coloro che rimpiangono l’antico splendore del nobile porto che fu simbolo di unione tra occidente e oriente. E lo è, coprotagonista, in una fase storica molto delicata: il periodo del Covid, di quel lock-down che ha significato prigionia forzata nelle case, volti coperti e paura degli untori. Diffidenza e terrore, ostilità nei confronti dell’altro, incapacità di accoglienza.

Lui, il protagonista, Sebastiano Faliero, è definito il cacciatore di ombre:

La definizione affibbiata a Sebastiano Faliero non nasceva per caso. Ex poliziotto, espulso per aver picchiato un questore, sapeva che la sua possibilità di arrivare prima di quelli che erano stati i suoi colleghi derivava dalla capacità di non seguire le indagini canoniche, replicare i metodi scolastici appresi in accademia: la famiglia, gli amici, i vicini, il lavoro, gli amori e le passioni.

Sebastiano non ha una residenza fissa, è un nomade, un giramondo refrattario alle regole, un uomo con i sensi sviluppati e molto attento alle ombre che involgono spesso la realtà.

Con Venezia ha un legame particolare, che passa attraverso la magione del Nobil Homo Loredano Dolfin, amico antico più che vecchio, desideroso di ascoltare le storie fantastiche di Sebastiano. Aristocratico melanconico e rigido, mecenate di giovani (e meno giovani) raccontastorie alla maniera antica. Nella sua dimora, dagli arredi che testimoniano il passare inesorabile del tempo, si beve vino di raffinata provenienza e si disquisisce di storia e sociologia.

Sebastiano viene incaricato dal Nobil Homo, di indagare sulla morte di una giovane ragazza inglese, Sara Mordingale, il cui corpo è stato rinvenuto in un canale della Giudecca a tre giorni dal matrimonio con un tunisino di indole abbastanza incerta, un certo Ikram al Mokki, extra-comunitario dal passaporto, alto e aggraziato, e ventisei anni un po’ insolenti tracciati sulla faccia.

Loredano è amico della madre della vittima, si sente in obbligo di aiutarla nella disperazione, e si affida alle doti non comuni – quasi oltre le doti terrene – di Sebastiano, che accetta non di buon grado l’incarico.

Sebastiano, il detective atipico che beve il tè servito nel locale al di là della porticina azzurra in Calle dei Cinque quando deve riflettere – e grappa la sera per rilassarsi – si trova coinvolto in un’indagine adrenalinica, che lo trascina nel baratro nero di scoperte indicibili, dove ogni certezza frana e ogni punto di arrivo viene messo in dubbio.

A guidarlo tra la nebbia – e non solo quella che avvolge le calli deserte – due voci: quella di Katanga, il prezioso contatto che gli è rimasto fedele in una questura che lo ha abbandonato, e Cristina, ricca ereditiera e amante, con le doti di veggente, che lo indirizza dalla sua villa privilegiata, situata in qualche punto della costa adriatica, con suggerimenti preziosi quanto criptici.

Con una scrittura letteraria e affinata, Umberto Montin restituisce al lettore un romanzo noir avvincente e originale dove temi di triste attualità – l’immigrazione, la discriminazione, l’emarginazione – si intrecciano con la storia, l’esoterismo e la nostalgia malata di chi non riesce a adeguarsi al cambiamento culturale che deve (dovrebbe) essere alla base di quest’epoca piena di contraddizioni.

Una lettura che ho apprezzato molto e che consiglio a tutti coloro che non si accontentano di voci letterarie abusate ma che cercano tra le pagine del genere giallo anche temi sui quali riflettere uniti a una voce raffinata ed elegante.

Umberto Montin giornalista professionista, è stato cronista di nera e si è occupato di esteri, politica ed economia. Da sempre appassionato di misteri che si nascondono tra nebbie e fiumi, si dedica ora alla passione di sempre: il noir e il giallo. Ha pubblicato A muso duro (2020), Canto nomade per un prigioniero politico lombardo-veneto (2020), i testi di Vent’anni di cronaca a Como – cento foto di Carlo Pozzoni (2020), Il sangue dei randagi (2024).

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