Recensione: “”Il fornaio libanese”: due sorelle e una guerra dimenticata

Recensione: ""Il fornaio libanese": due sorelle e una guerra dimenticataCi sono libri che per qualche rocambolesco caso arrivano a noi proprio quando abbiamo un interesse particolare riguardo l’argomento trattato. Oserei chiamarli libri del destino. Ebbene, sono ormai mesi che il mio interesse, come quello di molti di noi, è rivolto al popolo della Palestina. Non solo per i tragici fatti di guerra, ma per il desiderio di conoscere dal dentro, in profondità, la cultura e la storia di un popolo il cui racconto è passato esclusivamente attraverso gli occhi e le bocche degli altri, o meglio degli occidentali.

Ed ecco che mi viene proposto di recensire questo volume dal titolo molto evocativo: Il fornaio libanese, pubblicato da Santelli Editore (2025) e scritto da Eugenio Cardi.

Prima di addentrarmi nel merito del romanzo, è necessaria una premessa per definire il contesto storico. Il libro è ambientato nel 1982, durante la seconda guerra libanese che rappresenta uno dei capitoli più drammatici del conflitto mediorientale. Il 6 giugno di quell’anno, Israele lanciò l’operazione Pace in Galilea, invadendo il Libano meridionale con l’obiettivo dichiarato di eliminare la presenza dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) dal territorio libanese. L’occupazione durò anni, lasciando migliaia di vittime civili e trasformando ancora una volta i palestinesi in profughi alla ricerca di un rifugio sicuro. È in questo contesto storico che si inserisce Il fornaio libanese, un romanzo che sceglie di raccontare la tragedia attraverso gli occhi di chi la vive quotidianamente.

Il romanzo si presenta come un’opera dalle molteplici identità narrative. È romanzo politico, storico e di denuncia, ma anche racconto intimo di formazione e resistenza femminile. L’autore costruisce la propria narrazione intorno alle figure di Najma e Zaynab, due sorelle palestinesi di vent’anni e dieci anni, cresciute nei campi profughi gestiti dall’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi) dopo la nakba del 1948. La scelta di concentrare l’attenzione su personaggi femminili non è casuale: rappresenta una prospettiva spesso trascurata nella letteratura di guerra, quella delle donne che decidono di prendere le armi non per un’astratta ideologia, ma per necessità di sopravvivenza.

La prosa è dura, diretta, che non fa sconti a nessuno, come annuncia la stessa presentazione dell’opera. Questa scelta narrativa riflette la brutalità del contesto storico descritto e la disperazione di un popolo che, dopo decenni di esilio forzato, vede nell’azione armata l’unica possibilità di rivendicare i propri diritti. Eugenio Cardi riesce tuttavia a bilanciare la durezza del racconto con momenti più intimi, di profonda umanità, che sondano le emozioni e gli affetti dei protagonisti.

Protagoniste assolute sono due sorelle, unitissime tra di loro, che rappresentano generazioni diverse ma accomunate dalla stessa condizione di esclusione. Najma, ventenne, incarna la generazione che ha vissuto consapevolmente la perdita della patria, mentre Zaynab, ancora bambina, rappresenta coloro che sono nati in esilio senza aver mai conosciuto altro che la vita nei campi profughi. Questo divario generazionale non divide, ma unisce le sorelle in una solidarietà che diventa simbolo della resistenza palestinese stessa.

Le ragazze rifiutano il ruolo passivo assegnato per tradizione alle donne nei conflitti armati. La loro scelta di aderire alla resistenza armata non è presentata come eroismo fine a se stesso, ma come conseguenza inevitabile del desiderio di continuare a vivere nel loro Paese come donne libere. In questo senso, il romanzo dialoga con la provocatoria dichiarazione di Giulio Andreotti citata nella bandella: “Io credo che ognuno di noi se fosse nato in un campo di concentramento, e da cinquant’anni fosse lì e non avesse alcuna prospettiva di poter dare ai propri figli un avvenire, sarebbe un terrorista.” (G. Andreotti, 18 luglio 2006, a proposito della striscia di Gaza.

Il fornaio libanese è un atto di accusa verso il feroce apartheid applicato da ben 75 anni dallo stato di Israele sul popolo palestinese. L’autore non si limita alla narrazione romanzesca, ma integra elementi documentali e storici che conferiscono all’opera una dimensione divulgativa importante. Il riferimento alle risoluzioni ONU mai applicate riguardo al diritto al ritorno dei palestinesi inserisce la vicenda delle due sorelle in un contesto più ampio, dimostrando come la tragedia individuale sia sempre conseguenza di scelte politiche precise.

La struttura narrativa alterna momenti di grande tensione a scene di vita quotidiana nei campi profughi, creando un contrasto che evidenzia l’assurdità di una condizione diventata, paradossalmente, normale per migliaia di persone. Il titolo stesso, Il fornaio libanese, suggerisce l’importanza dei piccoli gesti quotidiani di solidarietà e resistenza civile che si intrecciano con la lotta armata. È infatti non a caso che nel forno del vecchio Ibrahim, che continua imperterrito a sfornare il pane profumato simbolo di pace e di vita, che si organizza una speciale resistenza – che si trasformerà poi in una lotta che si allargherà nei campi profughi – contro le truppe israeliane.

Dopo che le truppe israeliane avevano invaso il Libano, esattamente una settimana prima, il 6 giugno 1982, Ibrahim aveva scambiato la toga accademica con il grembiule da fornaio, rilevando quella che da sempre era stata l’attività di suo padre, morto d’infarto il giorno stesso dell’invasione. Ibrahim aveva trasformato la zona retrostante del suo negozio in un punto d’incontro per la resistenza. 

La voce dell’autore privilegia la chiarezza dell’esposizione, e l’impatto emotivo rispetto agli artifici letterari. Questa scelta rende la narrazione accessibile a un pubblico ampio, mantenendo sempre alta la tensione drammatica. L’autore dimostra particolare abilità nel costruire dialoghi credibili e nel descrivere paesaggi devastati dalla guerra senza cadere nel pittoresco o nell’estetizzazione del dolore.

Il fornaio libanese si rivela un’opera coraggiosa e attraverso la storia di Najma e Zaynab, offre una prospettiva umana su eventi spesso ridotti a fredde statistiche, ricordandoci che dietro ogni guerra ci sono sempre volti, nomi e storie di resistenza quotidiana. Una lettura autentica e precisa, un documento che non può lasciare indifferenti.

Eugenio Cardi, laureato in Scienze Politiche, vive e lavora a Roma. Ha rivestito incarichi apicali in diverse associazioni, sindacati, istituzioni, ONG e ha una lunga esperienza nell’ambito del Non Profit. I suoi romanzi sono tutti basati su un percorso di introspezione psicologica o inerenti temi di forte rilevanza sociale. Il fornaio libanese è il suo dodicesimo romanzo.

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