Recensione: “Il gatto che prendeva il treno”, storie da stazioni e rotte dimenticate

Recensione: “Il gatto che prendeva il treno”, storie da stazioni e rotte dimenticateIn treno e nelle stazioni ferroviarie ho passato buona parte della mia giovinezza. Volentieri o meno, di giorno o di notte, per lunghi o brevi tratti, sono stato su un treno; e su un treno sono tornato da provini, appuntamenti sentimentali, giornate lavorative e da molte altre esperienze piene o prive di senso.

Con me, in treno, ho sempre avuto un libro: Di noi tre di De Carlo letto a tarda notte a Santa Maria Novella in attesa di un treno e sul treno; Altri libertini di Tondelli letto tutto d’un fiato in un viaggio da Padova a Bologna Centrale; Il sogno di una cosa di Pasolini terminato a pochi chilometri dalla stazione di Udine, e molti altri.

La lettura sul treno è un’esperienza davvero straordinaria, dà inizio a conversazioni improbabili con i tuoi eventuali vicini di posto, la luce va e viene, le stazioni si susseguono, la gente parla, succedono cose insomma.

Un posto speciale, nella mia memoria, viene occupato da quelli che io chiamo i libri per il viaggio. Piccoli progetti, a volte molto ben curati, che si possono reperire, casualmente, alla cassa delle grandi librerie, e che raccolgono piccoli racconti o interviste di grandi autori su temi della letteratura, ma non solo.

Fa parte, a buon diritto direi, del gruppo, anche Il gatto che prendeva il treno (ed. Bibliotheka, 72 pagg., 14 €) di Gaetano Savatteri, un vero e proprio racconto dialogico, più che una trascrizione fredda di una chiacchierata, tra l’autore e il grande Andrea Camilleri sul tema delle stazioni e dei treni in Sicilia.

Di racconto dialogico si tratta, a mio parere, per vari motivi: il primo, ça va sans dire, per la qualità dell’interlocutore; e il secondo per l’intelligente costruzione del volume da parte della casa editrice, la quale propone un progetto vendibile e profondo, un vero e proprio LP letterario, con il suo lato A e il suo lato B, dove la traccia principale è correlata da due interventi dell’autore, uno esplicativo (a mo’ di introduzione), l’altro creativo, immaginativo.

Servono questi libri? Io dico di sì. Sono volumi che, ripeto, la maggior parte delle volte noi lettori selvaggi acquistiamo casualmente, magari proprio per coprire un tratto di viaggio in treno, o come cadeau per altri nostri sodali. Sono opere destinate a divenire rarità, la maggior parte delle volte, e per la difficile prospettiva di ristampa, e per il loro contenuto, ritenuto in qualche caso eccessivamente di nicchia, o poco interessante per il grande pubblico.

Con Il gatto che prendeva il treno ci troviamo certamente di fronte a un esempio fulgido della categoria dei libri per il viaggio. È un inedito Camilleri, in un certo senso, quello che incontriamo tra le pagine di questa operina, che depone le vesti dell’Autore per raccontare e raccontarsi, divenendo affabulatore, un po’ come nei suoi Racconti di Nené, portandoci con sé a bordo di quei vecchi treni che attraversavano la Sicilia in lungo e in largo, con calma (ovviamente) molta calma, e nelle stazioncine di provincia, tanto odiate dai turisti, visceralmente amate dai viaggiatori.

Il racconto di Savatteri, Treni che guardano il mare, che segue l’intervista a Camilleri, sembra così derivare direttamente, organicamente, dalle suggestioni che abbiamo appena finito di suggere.

La costruzione del volume è mirabile, tutto scorre placidamente, serenamente.

Eccoci dunque arrivati a destinazione. Non ci resta altro da fare (e anche questo il libro ce lo permette) di fissare le nostre impressioni sulle note di viaggio che l’editore ha ben pensato di inserire alla fine del volume.

Un piccolo gioiello, una futura rarità da procurarsi il più presto possibile.

Nelle stazioni possono succedere cose straordinarie dice Andrea Camilleri. In libreria anche.

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