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Recensione: “Il randagio e altri racconti” – Solitudini senza scampo

Recensione: "Il randagio e altri racconti" - Solitudini senza scampo Recensione: "Il randagio e altri racconti" - Solitudini senza scampoIl randagio e altri racconti
di Sadeq Hedayat
traduzione di Anna Vanzan
Carbonio Editore

Per le persone “di una certa età”, l’immaginario collettivo sulla Persia, oggi Iran, era costituito da tappeti pregiati, palazzi fastosi e principesse bellissime vestite con veli tempestati di pietre preziose. Film, riviste e storie ci facevano sognare un mondo incantato, dove tutto sembrava perfetto e irraggiungibile, ma nel libro di Sadeq Hedayat, composto di nove racconti, nulla vi è di tutto questo. Le storie, tutte estremamente toccanti, ambientate in strada, nei vicoli con i loro mercatini e nelle sale da tè, ci raccontano una realtà drammatica in una nazione, l’Iran, dove tutt’oggi le differenze sociali e umane sono incolmabili.

L’autore, morto suicida a Parigi nel 1951, ha scritto questi racconti intorno agli anni 1930-1942, descrivendoci personaggi, uomini e donne ”normali”, con una quotidianità ordinaria e realistica ma quasi tutti legati da un filo conduttore comune: i conflitti interiori, l’emarginazione, la solitudine e i torti subiti senza possibilità di riscatto.

In quasi tutti i racconti, dove i profumi delle spezie e il fumo delle sigarette spadroneggiano, lo scrittore ci trascina in un vortice a tratti surreale che ci stordisce e spesso ci fa perdere il senso della realtà, rendendoci inconsapevoli spettatori delle contraddizioni della società persiana con storie drammatiche e talvolta estreme.

Nel primo racconto, ”Abji Khanum”, la protagonista, è brutta fuori ma diventa brutta anche dentro perché la madre, che coccola e adora l’altra figlia, molto carina, invece di consolarla, la castiga e la deride, pronosticandole una vita senza matrimonio e senza una famiglia. Per Abji non sarà tanto il suo aspetto spiacevole, ma la mancanza di affetto e attenzioni, che la porteranno a un gesto estremo.

Una storia struggente che, per certe similitudini, ci riconduce all’ultimo racconto, “Il randagio”. Pat è un cane amato e coccolato dalla famiglia in cui vive, ma il “richiamo di una femmina” lo farà perdere nella folla e mai più ritrovare la strada di casa. Umanizzato fino al parossismo Pat, maltrattato e percosso da tutti, sarà un’anima persa e sola come Abji. In un’esemplare descrizione, Hadayat ci descrive la sua pena non tanto per la mancanza di cibo e la sofferenza fisica, ma come appunto per Abji, per la mancanza di carezze e di tenerezza.

Quella che Hedayat ci descrive è l’umanità messa allo sbando dall’indifferenza, l’ignoranza e soprattutto da tradizioni ataviche dure da cancellare.Tradizioni che perpetuano comportamenti violenti come le percosse e le umiliazioni inflitti alle mogli, descritte nel racconto “Haji Morad”, dove il protagonista picchia violentemente la moglie e non esita a picchiare anche una sconosciuta per strada, scambiandola per lei, solo perché credeva che fosse uscita senza chiedergli il permesso.

In ogni racconto si respira una sensazione irreale e quasi onirica, che nel racconto “La bambola dietro alla tenda”, diventa quasi grottesca. Mehrdad, il protagonista, timido e introverso, lontano dalla famiglia, disadattato in Francia e con un matrimonio combinato di cui non vuole sapere, s’innamora di una statua bionda e con gli occhi azzurri. Mehrdad è talmente malinconico e isolato che spenderà una fortuna per comprare la statua che si porterà a casa nascondendola dietro una tenda.

Non c’è un racconto meno “bello” o più avvincente dell’altro perché tutti hanno una peculiarità comune: quello di una vita illusoria e artificiale, di un’esistenza allo sbando e che porta alla luce una cultura, quella persiana, specchio della vita errabonda dello scrittore. Non è necessario leggere la sua biografia per capire quanto la sua vita nomade e da esule, permei ogni racconto.

Nel racconto “Vortice” Homaium è ossessionato dalla fissazione della tresca tra la moglie e il grande amico Bahram, morto suicida e, solo basandosi sul fatto che sua figlia ha gli occhi azzurri dell’amico, pensa di non esserne il padre. Quando poi riceve la lettera di Baharam con la quale la bambina è nominata sua erede, perde il controllo e la moglie se ne va con la figlia. Una seconda lettera post mortem dell’amico, lo metterà di fronte ad una realtà diversa dimostrando la sua ottusità e il finale, come quasi tutti i racconti, sarà ancora una volta tragico e angosciante.

Grazie ad Anna Vanzan, iranista, islamista e traduttrice italiana, morta recentemente, Il libro ci arriva con tutte le sfumature e la ricchezza di particolari che, solo un’entusiasta della cultura della civiltà islamica come lei, ci poteva trasmettere.

Sadeq Hedayat (Teheran, 1903 – Parigi 1951) è considerato il padre della letteratura persiana moderna. Di famiglia nobile, frequentò scuole francesi a Teheran per poi trascorrere diversi anni tra Europa e India. La civetta cieca (Carbonio Editore, 2020), considerato il suo capolavoro, è ancora oggi oggetto di censura. Hedayat morì suicida a Parigi in estrema miseria e solitudine.

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