Diciamolo una volta per tutte: la storia della letteratura mondiale arriva a una svolta (positiva o negativa giudicatelo voi) allorquando cambia, d’improvviso, il rapporto della società con gli oggetti inanimati.
Esiste certamente una differenza tra Marcel Proust e Don Delillo; ma dobbiamo, prima di analizzare il bello e coraggioso progetto della casa editrice Dédale, – che va a ripescare dall’oblio un racconto breve di Stefan Zweig dal titolo La collezione invisibile – spaccare letteralmente il capello in quattro e procedere lentamente per non lasciare nulla di intentato.
Marcel Proust dimostrò che l’oggetto non ha senso se non nella sua astrattezza: vedo un biscotto, lo prendo, lo mastico… E penso a mia madre, alla mia infanzia. Ne avrei potuto sentire l’odore, sarebbe stato lo stesso. Le cose, però, ai tempi del buon Marcel erano rare, solide e costose.
Passati gli anni, decisi a perdere il tempo definitivamente invece che sforzarci per ritrovarlo, l’oggetto diventa sempre più inutile, frivolo, fragile e immediatamente sostituibile.
Dunque?
In quest’epoca caduca credo fermamente che il compito primo dell’arte, di chi ne fruisce e di chi prova a farla, sia anche quello di dar valore agli oggetti per mezzo dei quali una data arte può propagarsi. Un libro non è solo un contenitore di parole, di concetti, perdio! È una sorta di medium, un vero e proprio esempio dato alle stampe e reso disponibile dietro un parco o cospicuo pagamento.
Il volume edito da Dédale, per esempio, lo possiamo considerare una piccola opera d’arte, un volume da collezionisti (prontamente rovinato dal sottoscritto che ne ha sottolineato i punti più salienti con un bel tratto di evidenziatore rosa fosforescente), un oggetto che per la sua futura rarità non ha (né fisicamente, né idealmente) alcun prezzo.
Di questo avviso è il protagonista del racconto di Zweig, che colleziona rare stampe di grandi autori ma che, diventato cieco, può goderne solo immaginandole.
Già in un altro suo racconto, Mendel dei libri, l’autore austriaco ci aveva raccontato la storia di un uomo che ricordava i libri non per averli letti ma per averne visto tutte le copertine, tutte le edizioni edite. Zweig, accanito collezionista anche lui, prende a pretesto la storia di un antiquario in disarmo che, speranzoso di acquistare qualche pezzo raro da un anziano appassionato che vive in provincia, capisce improvvisamente, grazie a un delizioso congegno di plot ideato dall’Autore, non solo che l’anziano signore non potrà mai vendergli niente; ma che il denaro non può comprare l’atmosfera di un oggetto di grande rarità e, meno che mai, la passione di cui l’amatore cosparge l’intero oggetto.
Libri come quello di Zweig, editato splendidamente da Dédale, tanto da farlo somigliare più a un antico programma di sala teatrale o al catalogo di una piccola mostra, sono necessari per riflettere su un tema molto importante: abbiamo costretto gli oggetti a essere spettatori delle nostre vite, quando prima il rapporto era paritario se non totalmente inverso.
Noi usiamo gli oggetti, diamo loro un valore materiale, ma siamo pronti, il più delle volte, a tradirlo per un piatto di lenticchie chiamato novità, comodità, praticità.
Non è un caso che la nostra capacità immaginativa sia drasticamente calata. Quando si può avere tutto (e a buon mercato, per giunta, la maggior parte delle volte) scompare il desiderio.
Tutti i grandi classici della fine dell’Ottocento, o degli inizi del ventesimo secolo, andrebbero riletti sotto questa luce. Solo allora quei libri dimostrerebbero la loro utilità vera.
È una ricerca del tempo perduto autentica, quella del lettore selvaggio, o del collezionista. Siamo orfani della concreta fantasia dell’immaginario. Gli oggetti sono nostre propaggini, ormai, non più tesori da tenere di conto.
In questo splendido racconto, breve e intensissimo, posto all’interno di un meraviglioso volumetto di 91 pagine – dove potrete trovare un ampio catalogo di stampe di Dürer e dipinti di Daumier (risalenti alla seconda metà dell’Ottocento) – potrete ritrovare il senso di quello che si usa chiamare percorso emotivo: dalla prefazione curata da Pedro Corrèa do Lago all’introduzione di Guillaume Glorieux, si scivola nel racconto breve di Zweig.
Esistono libri brevi che hanno il potere di dilatare il tempo. La collezione invisibile di Stefan Zweig, edito da Dèdale, è uno di questi.
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