Recensione: “La tomba di San Pietro”. Due Margherite, un destino

Recensione: "La tomba di San Pietro". Due Margherite, un destinoTiziana Lupi è giornalista, sceneggiatrice e regista per la TV e scrive per diverse testate giornalistiche. È dedita a ricerche storiche, specie nel campo della religione. La si può definire vaticanista? Penso proprio di sì, grazie a un’ottima biografia illustrata di Papa Francesco (“Il nostro Papa” – Mondadori), dalla quale è stato tratto un docufilm diretto dalla stessa Lupi con Marco Spagnoli. E grazie a questa narrazione, in forma di romanzo, delle vicende legate agli scavi archeologici condotti per quasi trent’anni (dal 1940 al 1968) sotto la basilica di San Pietro in Vaticano e volti a confermare l’esistenza, sotto la basilica stessa, della tomba e delle spoglie del primo Vescovo di Roma, quel pescatore di Galilea di nome Simone, da Gesù incaricato, con il nuovo nome di Pietro, di fondare la Chiesa.

Ma “La tomba di San Pietro” (Edizioni Minerva) rivela anche, o meglio conferma, che Tiziana Lupi si è posta professionalmente il compito di rivalutare e collocare sotto i riflettori della pubblica attenzione personaggi (in questo caso scienziati) dei quali immeritatamente poco o nulla si sa.

Ci ha già provato (“Il Nobel mancato” – Edizioni Minerva, 2024) con un “tal” Vincenzo Tiberio (chi era costui?), lo scienziato italiano che nessuno conosce e che nel 1898 o giù di lì, comunque ben trentatré anni prima dello stimatissimo e premiatissimo dottor Alexander Fleming, scoprì gli antibiotici (ed evidentemente non fece a gomitate per rivendicare il primato della scoperta).

Ci prova ora con Margherita Guarducci, annunciando le proprie intenzioni con un sottotitolo inequivocabile e perentorio: “La storia dimenticata di Margherita Guarducci”.

Tiziana Lupi ha tutte le ragioni del mondo per esecrare la facilità e la disinvoltura con cui il machismo (è spagnolo) dell’apparato storiografico vaticano ha sbattuto nel fondo del dimenticatoio questa signora e scienziata, alla cui caparbietà e al cui rigore di studiosa la Chiesa cattolica oggi deve tutto o quasi tutto il giustificato vanto di poter dire: sì, sotto la basilica di San Pietro, esattamente in corrispondenza verticale con il centro della cupola michelangiolesca, c’è proprio la tomba di Simon Pietro. E soprattutto ci sono i resti del corpo mortale dell’apostolo prediletto da Gesù il Nazareno.

Non sto qui a evidenziare o sottolineare (lo fa Tiziana Lupi, ovviamente) quanta importanza avesse e tuttora abbia per la Chiesa di Roma poter dimostrare al mondo intero la veridicità scientificamente testata della costruzione, in fasi successive, della basilica vaticana proprio in corrispondenza delle spoglie del martire primo vescovo di Roma. Credo a quanto mi dice l’autrice del libro, che cioè era ed è un’importanza esiziale: se al termine di scavi durati una trentina d’anni, tra mille tentennamenti e all’inizio con scarsa perizia, se non con trascuratezza, si fosse dimostrato che la storia della tomba di Pietro sotto la basilica era una bufala, di fronte agli scettici e ai malevoli (la Chiesa cattolica ne conta tanti) il Vaticano avrebbe rimediato una figuraccia.

Per invogliarvi a leggere questa storia romanzata degli scavi vaticani (155 pagine che scorrono come un breve torrentello di montagna), preferisco soffermarmi sull’empatia che la lettura riesce a smuovere.

Sì, già dalle prime pagine ci si innamora di questa donna che ha attraversato l’intero Novecento e il cui cuore ha deciso di fermarsi proprio alla soglia di ingresso nel ventunesimo secolo (è nata nel 1902 ed è morta il 2 settembre del 1999). Ed è un innamoramento del tutto devozionale quello che suscita, perché Margherita Guarducci, nella sua lunga vita, non ebbe il tempo (e forse nemmeno il desiderio) di gingillarsi con gli amori e gli amorucoli, interamente dedita com’era alla scienza, per l’esattezza all’archeologia. E più esattamente ancora, all’epigrafia, la scienza che studia i messaggi scritti di cui la Storia dell’uomo ha disseminato il proprio millenario viaggio.

E io, che amo con una briciola di rimpianto (sotto il profilo degli studi universitari) l’archeologia, non potevo non innamorarmi (grazie, Tiziana Lupi!) di questa donna che ha speso l’intera vita a decodificare e decifrare per noi le scritte della Storia e che a soli ventinove anni era già docente di Epigrafia e Antichità Greche presso La Sapienza di Roma (cattedra conservata dal 1931 al 1973!).

E questa illustre, dimenticata Margherita non può non essere collegata con un fil rouge a un’altra grande Margherita del Novecento: quella Margherita Hack che ha speso la vita a scrutare, anziché i sepolcri e le iscrizioni greche, la volta celeste. E che, per sua e nostra fortuna, e a differenza della Guarducci, ha goduto di una maggior notorietà.

Insomma, mi piace poter accostare le due Margherite e vederle: una intenta a interrogare il sottosuolo, grattando sotto la crosta della Terra, alla ricerca delle testimonianze del passato; l’altra , al contrario, con gli occhi e la testa rivolti al cielo, a interrogare gli astri, a cercar di aprire le porte che ci separano dall’infinito futuro. Tutte e due donne, tutte e due con il nome del fiore più umile e classico che ci sia.

Non mi resta che augurarvi buona lettura e attendere (è anche un invito) che la brava segugia Tiziana Lupi vada alla scoperta di altre Donne ingiustamente dimenticate.

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