Il Tour del 1983

“David Bowie Serious Moonlight Tour” – in onda sabato 14 giugno alle 23.00 su Rai 5 – è la versione rimasterizzata del celebre “Serious Moonlight Tour” del 1983 seguito al successo mondiale dell’album “Let’s Dance”. In scaletta tutti i classici del canzoniere di David Bowie: “Space Oddity”, “Rebel Rebel”, “Young Americans”, “Life On Mars”. Il Duca Bianco ai massimi livelli accompagnato da una band di pregio: Earl Slick e Carlos Alomar (chitarre), Carmine Rojas (basso) e Tony Thompson (batteria).
David Bowie: uno, nessuno e centomila. Cinquant’anni di carriera all’insegna delle metamorfosi, dell’incessante ansia di percorrere e precorrere i tempi: “Time may change me, but I can’t trace time” (“Changes”, 1971) è sempre stato il suo credo. Un genio mutante, dunque. Ma il trasformismo è solo la più appariscente tra le arti di questo indecifrabile dandy, incarnazione di tutte le fascinazioni e contraddizioni del rock e, in definitiva, della stessa società occidentale. Nessuno come lui ha saputo mettere a nudo i cliché della stardom, il rapporto morboso, ma anche ipocrita, tra idoli e fan, il falso mito della sincerità del rocker, l’assurdità della pretesa distinzione tra arte e commercio. Bowie è stato anche uno dei primissimi musicisti a concepire il rock come “arte globale” (pop-art?), aprendolo alle contaminazioni con il teatro, il music-hall, il mimo, la danza, il cinema, il fumetto, le arti visive. Con lui scompare ogni confine tra cultura “alta” e “bassa”. Perché – secondo una sua stessa felice definizione – “è insieme Nijinsky e Woolworth”. È grazie ai suoi show che il palcoscenico del rock si è vestito di scenografie apocalittiche, di un’estetica decadente e futurista al contempo, retaggio di filosofie letterarie, cinematografiche, ma anche dell’arte di strada dei mimi e dei clown. E in ambito musicale la sua impronta è stata fondamentale nell’evoluzione di generi disparati come glam-rock, punk, new wave e synth-pop.
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