Sfrecciamo, ma non troppo, sui viali di Firenze: tra qualche giorno debutteremo con il nuovo spettacolo; Chiara non ci sarà, ha preso tre o quattro pose in Lidia Poet, la serie Netflix, e mi ha chiesto di sostituirla. Nonostante tutto, è una bellissima giornata di fine aprile.
C’è del nervosismo, va detto: non sappiamo ancora bene come verrà il tutto, abbiamo avuto dei feedback positivi, ma chissà.
Luisa, alla guida, parla – come al solito – di organizzazione, orari, proposte, inviti da fare; Chiara fa domande a cui nessuno può rispondere. E il bello è che lo sa benissimo, e tuttavia continua a farle.
Ecco che però, d’improvviso, Luisa inchioda: sul display del suo smartphone, che stiamo usando come navigatore, si è proiettata la notifica di un messaggio whatsapp.
Il papa è morto.
A me prende un colpo: «Sei matta? C’è mancato poco che tamponassimo.»
Una macchina ci passa velocemente sulla sinistra, mandandoci a quel paese.
«Vero?» dice Chiara, chiedendo conferma della notizia.
Controllo. È tutto vero. Jorge Mario Bergoglio, meglio noto come papa Francesco, ci ha lasciati.
Taccio.
Il silenzio – lungo – che segue, è rotto all’improvviso da Chiara, che mi chiede: «Che ne pensi?»
Io: «Non abbiamo molto tempo. Farei due filate e poi ti accompagnerei alla stazione, tesoro.»
Chiara: «No, che hai capito? Dicevo del papa.»
Taccio.
«Mi dispiace davvero» dice Luisa.
«Vero?» replica Chiara «Anche a me. Mi sentivo come protetta, che vi devo dire?»
Io penso a quel verso di Franco Ferrara: … perché allora […] / è antichissimo uso allo spregio della ventura / un castello di pietre imporre / alla mobilità delle sabbie.
«Ha aperto la chiesa a tutti» continua Luisa.
«Vero? Com’è che lo chiamavano? Il papa degli ultimi» insiste Chiara.
Altro silenzio.
Luisa: «Fra si tace» E ridacchia.
In realtà sto pensando alla frase di Gustave Le Bon: La civiltà d’un popolo si basa su di un piccolo numero d’idee fondamentali. Da queste idee derivano le sue istituzioni, la sua letteratura e le sue arti. Lentissime a formarsi, sono pure lentissime a scomparire. Diventate già da tempo errori evidenti per le menti colte, rimangono per le folle verità indiscutibili e continuano la loro opera nelle masse profonde delle nazioni. Se è difficile imporre un’idea nuova, non meno lo è distruggere un’idea antica. L’umanità si è sempre aggrappata disperatamente alle idee morte e agli dèi morti.
A proposito di questo, ecco Luisa che aggiunge: «Adesso chissà chi ci metteranno. Uno alla Ratzinger, di certo.»
«Peccato» aggiunge Chiara. «È uno che ci aveva provato a svecchiare.»
Altro silenzio.
Luisa: «Fra, puoi parlare. Ti giuro che non inchiodo più,» e ride.
Io: «Lu, nell’ultima parte dello spettacolo non dirmi vieni qua. In teatro non si dice mai a un altro attore quello che deve fare. Vienimi a prendere, piuttosto.»
Chiara: «Vabbè abbiamo capito che ’sto papa non ti piaceva.»
Luisa: «Ma perché Fra è un conservatore.»
Io: «No, no.»
Chiara: «Oddio, una risposta!»
A parte il fatto che il sottoscritto non è un conservatore; semmai è un repubblicano. Della chiesa non gliene è mai importato nulla, soprattutto della sua gerarchia.
«C’è un libro di Deleuze e Guattari» dico, «si intitola L’Anti-Edipo, dove si parla del rapporto tra il desiderio e la realtà e che, in qualche modo, sviluppa questioni che si preoccupano meno del perché delle cose e più del come.»
Come s’introduce il desiderio nel pensiero, nel discorso, nell’azione? In che modo il discorso può e deve dispiegare la sua forza nella sfera della politica e intensificarsi nel processo di rovesciamento dell’ordine stabilito?
Silenzio.
«Non ho capito» dice Chiara.
«Eh, lo so» rispondo. «È che se ci concentrassimo un po’ più sul come invece che sul perché, forse ci dorremmo per la morte dell’uomo ma capiremmo un po’ meglio il vecchio adagio morto un papa se ne fa un altro.»
«Non ho capito» dice Luisa.
«Siamo protagonisti,» rispondo io, «checché ne dicano tutti (i giornali, le tv, il web). O meglio: saremmo protagonisti o torneremmo a esserlo se facessimo dell’azione collegata al desiderio una nostra pratica quotidiana. Scopriremmo cose incredibili, tipo che, al netto dei proclami, per “aprire la chiesa” come dite voi, sono stati fatti diversi proclami ma nulla di concreto è stato operato; scoprireste che, in fondo, a voi, di chi sia il papa, non importa nulla.»
Luisa: «Beh, adesso…»
Io: «Quand’è l’ultima volta che sei andata in chiesa? Non valgono battesimi o matrimoni.»
Chiara: «Ma non è solo un fatto di chiesa…»
Io: «Lo so. È quello che sto tentando di farvi capire. Che vi frega del papa? Bestemmiate come turche, contravvenite quotidianamente a qualsiasi precetto cattolico (come me, come la maggior parte delle persone, in questo Paese). È che il tizio, anni fa, è finito sulla copertina di Rolling Stone, con il titolo Il papa pop, questo è il punto. Io mica voglio obbligarvi ad ascoltare gli Einstürzende Neubauten, ma non venitemi a dire che Kylie Minogue è migliore di loro solo perché è più pop.»
Luisa ride: «Vabbè, comunque si faceva per chiacchierare, Fra.»
Io: «Sto chiacchierando. Mi avete fatto una domanda, vi rispondo. Dobbiamo tornare a cercare le cose, dobbiamo riprendere a pensare alle cose, a certe filosofie, istituzioni, come a delle lingue straniere. Per impararle occorre tempo e disponibilità. Ma soprattutto tanto desiderio. Desiderare è un’azione. Riprendiamo a desiderare.»
Chiara: «Io desidero un caffè.»
Taccio.
Altro silenzio.
Luisa: «Comunque sempre meglio quest’ultimo papa che quello che è venuto prima, che era nella gioventù hitleriana.»
Altro silenzio. Luisa mi guarda.
Io: «Sì. Poi anche Bergoglio pare non aver fatto niente durante la dittatura di Videla; ma questo non lo dice nessuno, non si trova scritto cinque volte al giorno dovunque e allora… No?»
Ci fermiamo a un benzinaio sui viali.
Vorrei fumare. Non posso.
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