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Recensione: “Convertita”, “fanaticus” – ispirato da una divinità

Recensione: "Convertita", “fanaticus" - ispirato da una divinità Recensione: "Convertita", “fanaticus" - ispirato da una divinitàIl libro di Catherine J.Wright, Convertita, ha come protagonista Sara, una ragazza belga di origini egiziane piuttosto sbandata e narra del suo incontro con un mite e riservato studente iracheno, Hassan, che la induce gradualmente e per amore a convertirsi alla religione islamica.

Il legame affettivo tra i due giovani li porterà ad affrontare un cambiamento radicale e a raggiungere il Medio Oriente, con l’intenzione di coronare il loro sogno d’amore e sposare la causa degli integralisti islamici guidati dal Califfo di una minoranza radicale.

La realtà che si troveranno davanti sarà molto più brutale rispetto a quella auspicata alla loro partenza, farcita di sogni giovanili e speranze di riscatto.

L’elemento centrale di questo romanzo, scritto con un lessico molto semplice e fruibile, in stile più descrittivo e giornalistico che romanzato, è la conversione.

Tuttavia non sono certo la conversione ad un altro credo religioso o le scelte di fede ad essere poste in discussione, anzi, l’autrice ha modo di trattare con rispetto e comprensione i temi della religione islamica.

Sono l’adesione ad una certa forma di fanatismo e l’attitudine all’intolleranza e alla violenza che ne consegue, il vero tema centrale del libro.

La conversione dovrebbe essere un evento emotivo naturale, sano, spesso insito nel processo di crescita e trasformazione di ogni individuo.

Del resto l’etimologia della parola conversione, dal latino conversio, indica un mutamento interiore.

È il cambiamento radicale, drastico, repentino e soprattutto acritico il vero dramma, quello corrispondente all’accezione negativa del termine conversione e cioè “mutare repentinamente direzione”

I cambiamenti interiori dovrebbero maturare con spontaneità e consapevolezza, passare attraverso il se’.

Essi non dovrebbero mai derivare da fame di conferme e dalla ricerca esasperata di sicurezza, perché questo comporterebbe di conseguenza la cristallizzazione dell’identità’ dell’individuo in una di tipo spirituale, che spesso è solo una trappola dell’ego.

Gli psicologi definirebbero questo processo esasperazione del falso se’ e infatti l’ego spirituale è spesso proprio una delle maschere più astute dell’io.

I due protagonisti del libro sono i due candidati ideali per un passaggio del genere.

Sara, orfana cresciuta in istituti e dedita a droghe e sesso promiscuo, nell’amore per Hassan e nella simbiosi con lui e la sua religione, ritrova prima le sue radici e poi quelle sicurezze che non ha mai avuto.

Hassan, introverso e oscuro, psicologicamente disadattato e ghettizzato, è intriso di invidia sociale e odio razziale.

E’ evidente che proprio una personalità senza struttura e alla ricerca di stabilità e identità sociale, come quella dei protagonisti sia il candidato ideale ad aggrapparsi a qualunque cosa lontanamente somigli a una certezza e la rende in modo acritico il proprio Dio.

Del resto il fanatico (dal latino “fanaticus” – ispirato da una divinità ) piuttosto che cercare questa divinità dentro se stesso, strutturare la propria identità e costruire le proprie certezze, preferisce sposarne di esterne.

Queste certezze temporanee possono corrispondere all’amore, alla religione o a figure spirituali, come ad esempio un leader di una setta.

Il fanatico difende a spada tratta e con violenza questo suo percorso per non mettersi mai in discussione e per non guardare al baratro che ha dentro.

In principio si storce quasi il naso su questo passaggio forse fin troppo ovvio: frustrazione uguale adesione al male.

Ma in fondo, come scriveva Anna Harendt nel suo celebre libro “La banalità del male”,

“il male non è mai radicale, ma soltanto estremo e non possiede ne’ profondità ne’ una dimensione demoniaca perché non sfida il pensiero, in quanto questo cerca di raggiungere la profondità e nel momento in cui cerca il male è solo frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua banalità.”

La giornalista americana Catherine J. Wright autrice di “Convertita” (edito da Paesi Edizioni) è stata consulente analista per l’intelligence americana in Europa e ha viaggiato per lavoro in Libia, Libano, Israele, Siria, Iran, Iraq, Afghanistan e Caucaso, dove ha studiato i fenomeni terroristici endemici. Dal 2012 vive in America, a Monterrey, California, dove si occupa di contro-terrorismo per una società di sicurezza privata.

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