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Recensione: “Il tracollo culturale. La conquista romana del Mediterraneo (146-145 a.C.)” – La globalizzazione degenerativa

Recensione: "Il tracollo culturale. La conquista romana del Mediterraneo (146-145 a.C.)" - La globalizzazione degenerativa Recensione: "Il tracollo culturale. La conquista romana del Mediterraneo (146-145 a.C.)" - La globalizzazione degenerativaIl tracollo culturale.
La conquista romana del Mediterraneo (146-145 a.C.)

di Lucio Russo
Carocci Editore

In copertina un Blemma, essere mostruoso senza testa, con occhi e bocca posti sul ventre o sul torace che insieme agli Egipani, metà uomo e metà bestia, i Trogloditi, esseri incapaci nella parola, i Cinamolgi con la testa di cane, gli Astomi senza bocca che si cibano di odori, gli Arimaspi con un occhio solo, si pensava popolassero le regioni esterne all’impero romano.

A farne un elenco dettagliato è Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia, introducendo in una trattazione geografica questi strani esseri mitologici, con lo scopo di restringere la vera umanità ai soli territori dello Stato di Roma.

Ma da dove nasce tale esigenza?

Siamo nel II secolo a.C. e Roma ha annientato la civiltà sua rivale per eccellenza: Cartagine. Il suo dominio incontrastato sul Mediterraneo si accompagna a una tragedia culturale spesso sottovalutata o ignorata.

I romani, vincitori meno colti e raffinati, non seppero far propria e far fiorire i germogli della sottomessa cultura ellenistica. I testi greci furono distrutti o fraintesi gettando le basi di quelle che saranno banalizzazioni arrivate fino a oggi. In tal modo ad esempio lo “stoico” sarà, secondo una errata interpretazione fatta da Cicerone, colui che ha la capacità di resistere imperterrito al dolore, seppellendo sotto una pesante coltre di polvere tutta la grande sapienza filosofica dello stoicismo.

Allo stesso modo teorie e concetti come il pneuma, l’etere vibrante, l’eliocentrismo, la prospettiva, l’acustica, l’ottica, la chimica, furono del tutto trascurati e dimenticati col tempo. Si copiò a mani basse dagli studiosi di anni addietro, come Aristotele e Platone, che ormai dai greci erano già da lungo tempo superati.

Gli stimatissimi autori latini successivi al biennio 146-145 a.C., Cicerone con il suo elogio dell’oratoria rispetto alla filosofia e alla scienza, Vitruvio che, come afferma Hodge, non ha fatto nulla oltre che scrivere il suo De architectura, Seneca e il suo rifiuto della scienza, Plinio e il disprezzo mostrato per opere ellenistiche considerate oggi capolavori, come il Galata morente, e altri come loro, spesso celebrati per la loro sapienza, finirono per far scadere l’Astronomia in Astrologia, diluire la Chimica nell’Alchimia, dimenticare la Scienza applicata e fraintendere la Prospettiva, confondere Mitologia e leggende con la Storia e la Geografia, fino ad arrivare a quegli anni bui dell’Alto Medioevo.

Ci vorranno secoli per recuperare parte della cultura ellenistica e spesso si è assistito a una vera e propria appropriazione indebita moderna delle antiche idee recuperate. Ne è un caso esemplare Niccolò Copernico. Egli nella sua epistola posta a dedica nel De revolutionibus orbium coelestium, spiega chiaramente di aver scoperto sui libri in biblioteca l’eliocentrismo. Eppure nel 700 si sostenne che essa fosse una sua idea originale dando a lui la paternità della teoria eliocentrica.

Le motivazioni sono disseminate all’interno di questo saggio, che compie una vera e propria indagine storica, con una notevole ricchezza di citazioni di fonti e autori.

Il saggio, a tratti accattivante come un giallo, per divenire tagliente come una satira e affascinante come un romanzo storico, ci libera da quegli archetipi creati dopo la conquista romana del Mediterraneo con l’intento di tenere imprigionate le popolazioni in una gabbia statica, per ammansire le loro pulsioni e la naturale ansia di libertà.

Lucio Russo usa le sue parole rivestendole della loro intrinseca funzione liberatoria, arricchendo il lettore con un punto di vista nuovo e originale, indipendentemente dal fatto che il fruitore possa abbracciarlo o meno.

Chi detiene il potere in un determinato momento storico conosce alla perfezione il potere salvifico della cultura e della parola e l’impatto che esse possono avere sulle menti addormentate. I libri sono espressioni di un linguaggio.

E il linguaggio crea il pensiero.

E senza pensiero non può nascere un atteggiamento critico.

Il viaggio del lettore si compie verso una determinata meta che è il tempo attuale. Un tempo paradossalmente simile alla degenerativa globalizzazione romana.
Nel nostro oggi storico, contraddistinto da infiniti canali di comunicazione e possibilità espressive, la cultura resta uno strumento privilegiato per aprire la mente verso l’infinito, per consentirle di viaggiare verso terre ignote, tempi passati, per poi fare ritorno con una nuova consapevolezza.
Il sapere diventa quindi un atto rivoluzionario in una società dove la demenza digitale sta sconfinando oltre ogni immaginazione.

Per quanto sia quasi irresistibile l’attrattiva di quelle innumerevoli parole lampeggianti, che costellano la comunicazione digitale ormai prossima al feticismo, sono i testi simili a questo saggio a offrirci la possibilità di spezzare il circolo che ci tiene prigionieri.

Basta oscurare tutto ciò che può distrarci dal nostro lungo viaggio e iniziare a leggere come si faceva un tempo.

Quando leggere era un’avventura da affrontare con piacere e apertura e non come quel “Blemma” in copertina: senza testa.

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