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Recensione: “Le sorellastre” – L’altrove e il Kintsukuroi dell’anima

Recensione: "Le sorellastre" - L'altrove e il Kintsukuroi dell'anima Recensione: "Le sorellastre" - L'altrove e il Kintsukuroi dell'animaAltrove Teatro Studio, Roma.
Le sorellastre
Spettacolo scritto da Ottavia Bianchi, per la regia di Giorgio Latini
Interpretato da: Patrizia Ciabatti con Giulia Santilli, Ottavia Bianchi e Beatrice Gattai.

Baudelaire alla domanda “Cosa ci faccio io qui?” rispondeva: “Non importa dove! Non importa dove! Purché sia fuori da questo mondo!”.
Parole di invito alla fuga verso un altrove incorrotto, integro. Perché si sceglie di andare altrove? E cos’è l’altrove? Soprattutto, esiste ancora? Desideriamo credere negli assiomi: altrove uguale lontano, lontano uguale diverso, bello o comunque intrigante.
Oggi, la globalizzazione annulla le distanze e rende tutto sempre più simile, ma l’altrove esiste, e non delude il nostro immaginario e le nostre aspettative di “autentico” e di diverso.

Una sedia per sedersi ai piedi del palco e una valigia per iniziare il viaggio, così ti accoglie il piccolo teatro dell’Altrove. Il diverso ti accoglie sotto casa in città. Così anche il posto che meno ti aspetti diviene uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità.
Altrove non significa necessariamente lontano. Contiene in sé i concetti di alterità e di luogo, non di distanza. Significa differenze che si traducono in quello spaesamento capace di offrire una straordinaria esperienza di viaggio a chi lo affronta con la giusta predisposizione mentale, a chi è capace di mettere in gioco schemi, aspettative e certezze, a chi lascia alle cose il tempo per accadere e sa abbandonarsi alle suggestioni dei luoghi e degl’incontri.

L’altrove è anche quello assoluto, infinito dopo questo viaggio che chiamiamo vita, l’altro viaggio che chiamiamo l’aldilà. L’altrove di una donna, madre di quattro figlie, che proprio con il suo essere oltre, riesce in ciò che con la sua presenza in vita non avrebbe mai potuto compiere.

Questa la storia de Le sorellastre, fatta di “autentiche”  e vitali lotte in famiglia, alimentate da vendette e ritorsioni, che a sorpresa risultano feconde e non necessariamente da esorcizzare.
“Piccole donne” cresciute, che la Allcot non avrebbe mai narrato, non così comicamente, né con uno sguardo così indulgente e complice. Quattro donne piene di errori e fallimenti, ma vive e desiderose di volgere “altrove”.
Quattro sorelle che si ritrovano dopo molti anni nella vecchia casa di famiglia a vegliare la loro mamma passata oltre, e che pur di riceverne una fetta di eredità accettano di restare prigioniere 24 ore, intrappolate in un gioco della verità che manderà in frantumi il sottile legame che ancora condividono a fatica… per poi ricomporre i pezzi come nel Kintsukuroi l’antica arte giapponese di riparare le ceramiche frantumate. E così come i maestri artigiani del Kintsukuroi raccolgono i frammenti e li saldano, riempiendo le crepe sottili con pasta d’oro o d’argento, non nascondendo le fratture, ma esaltandole, l’incontro tra le quattro donne creerà un nuovo legame simile a un vaso riparato che mostra tanto la vulnerabilità quanto la forza di resistere.

In questo sta il vero essere famiglia.

L’incontro forzato produce per ognuna di loro un modo nuovo di guardare sé e le altre, rispettandone la fragilità, le cicatrici, i segni del tempo. Siamo ciò che siamo perché siamo stati ciò che siamo stati.

Il tutto ritmato da battute esilaranti e inaspettate delle quattro attrici che vanno perfettamente a tempo, incastrate in un copione che calza in maniera impeccabile su ognuna. Quattro tipi umani e temi scottanti, come la maternità, la violenza domestica, il razzismo, l’adulterio, l’orientamento sessuale, le dipendenze, trovano sfogo in una chiave di lettura satirica e ammiccante. Il viaggio così si espande e ci permette di uscire dalla strada battuta, l’incontro con l’altrove sarà una liberazione di quei temi imprigionati da quelle “bolle seriose” in cui sono generalmente confinati i “problemi”. E incontreremo un vero altrove non addomesticato, a uso e consumo dello spettatore, dove lo sguardo non rimarrà imprigionato in superficie, andrà oltre la pur irresistibile comicità. Altrove appunto.

il nostro viaggio/spettacolo assomiglierà allora a una vacanza, capace di arricchirci di vera esperienza e genuine emozioni. Sentiremo di appartenere a una sorta di “società degli spettatori” a cui si distribuiscono delle mappe più ampie e flessibili per orientarsi nella vita e per osservare noi stessi, l’altro e il diverso.

Andare altrove non è certo l’unico possibile modo di vivere e guardare, ma rimane, almeno per me, quello più appassionante e stimolante, stimolante proprio come questo imperdibile spettacolo.

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