Ai tempi dell’impero esisteva un’ampia area portuale tra Ostia e Fiumicino, oltre a un centro come di Civitavecchia, fondato sotto l’imperatore Traiano, e alle strutture presenti nel cuore della città, come il porto fluviale di Testaccio.
Nel Medioevo la città si contrae e il suo fiume rimane soltanto come fonte di approvvigionamento. Tra il XVI e il XIX secolo Roma continua però ad usare il Tevere sia perché la città del papa consuma molte risorse, che devono essere portate dall’entroterra, come legname e marmo, sia perché produce beni, come imbarcazioni, cereali macinati (la maggior parte dei molini erano concentrati nei dintorni dell’Isola Tiberina) e anche pesce d’allevamento. Il fiume è preferito alle vie di terra ereditate dagli antichi, perché non teme assalti dai briganti e accorcia i tempi di percorrenza.
Quando il neonato Stato italiano sottrae Roma al dominio pontificio, il re Vittorio Emanuele II si reca nella nuova designata capitale del regno, ma viene accolto dall’esondazione del Tevere, quella del Natale del 1870. Ragion per cui riparte immediatamente per il Piemonte, mentre i funzionari savoiardi si ingegnano a evitare che un simile episodio possa ripetersi. Lo Stato italiano decide dunque di dotare il Tevere di muraglioni che ne incanalino le acque.
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