“Path to the Sky”
di Jacob Hashimoto
Un volo di aquiloni
a Santa Maria della Scala,
Siena
Dal 22 maggio al 30 settembre 2025, il Complesso museale di Santa Maria della Scala, affacciato su Piazza del Duomo a Siena, si trasforma in un cielo percorribile, in una soglia sospesa tra storia e immaginazione. La mostra “Path to the Sky” di Jacob Hashimoto, curata da Raphaëlle Blanga – raffinata voce dell’arte moderna e contemporanea internazionale – si presenta come un omaggio etereo alla città di Siena, alle sue pietre, ai suoi silenzi.
Entrare nella mostra di Jacob Hashimoto allestita tra le antiche mura di Santa Maria della Scala è come varcare una soglia invisibile che conduce in una dimensione sospesa tra cielo e memoria, tra gioco e rituale. L’artista americano, noto per le sue installazioni composte da centinaia – spesso migliaia – di elementi simili ad aquiloni, ha saputo ascoltare e reinterpretare lo spirito del luogo con una delicatezza che sfiora il sacro.
Santa Maria della Scala non è uno spazio neutro: è un corpo vivo, una stratificazione di secoli, affreschi, silenzi e sguardi. Hashimoto non lo forza, non lo riempie, ma attraversa la Corticella e la Strada interna come un soffio, come un vento che muove e svela, lasciando che sia la luce a danzare tra i suoi “aquiloni”, sospesi come pensieri che fluttuano.
Eppure, per me – che vengo da Napoli e porto nel cuore il sudore e la grazia dei vicoli – la visione è stata doppia. Dietro la poesia dell’installazione, dietro la purezza del bianco e l’intensità dei colori che si rincorrono nello spazio, ho sentito nitidamente qualcosa di familiare. Mi sono tornate in mente le file di panni tesi tra i palazzi, tesi come bandiere quotidiane, ordinati con rigore e senso estetico dalle signore del quartiere. Non era solo bucato: era un codice. C’erano file tutte blu, tutte rosse, tutte bianche, alternate con criterio, come se ogni stesa raccontasse una storia o prendesse parte a una danza collettiva.
E in quella danza, ora sospesa tra le navate senesi, intravedevo i simboli delle contrade. Ogni aquilone di Hashimoto sembrava portare con sé un emblema, un’eco di cavalli in corsa, tamburi, vessilli, fuochi d’estate. E poi, inevitabilmente, l’infanzia: le mani piccole che costruivano aquiloni con carta velina e stecche di canna, e il miracolo che accadeva quando finalmente si alzavano in volo.
Hashimoto riesce a restituire tutto questo senza retorica. Le sue opere non impongono significati: li evocano. E lo fanno con una leggerezza solo apparente, perché dietro ogni modulo c’è una cura quasi monastica, un’attenzione al dettaglio che si fa sacra.
Ci si muove nella mostra come in un sogno a occhi aperti. Ogni passo cambia la prospettiva, ogni soffio d’aria fa vibrare il colore, ogni sguardo diventa parte dell’opera. In questo modo, l’artista riesce a rendere vivo il rapporto tra individuo e spazio, tra passato e presente, tra cultura e sentimento.
È una mostra che non solo si guarda, ma si ascolta, si respira, si ricorda. Una dichiarazione d’amore alla materia effimera della memoria, alle architetture dell’immaginazione. E a me, figlia del sud, ha fatto sentire che i nostri cieli non sono poi così distanti.
Una mostra, che ha saputo unire per un istante per me, Siena a Napoli con un filo di seta e vento.
Un ringraziamento di cuore a Chiara Valdambrini, direttrice attenta e appassionata, che pur non essendo presente, mi ha accolta con un gesto lieve, lasciandomi un omaggio che profumava di casa e d’amicizia.
E un plauso affettuoso a tutto lo staff del museo, che con competenza e dedizione accompagna il visitatore dentro questo incanto, con lo stesso spirito gentile con cui un tempo si accoglieva il viandante.
“Path to the Sky” non è solo una mostra: è un invito a sollevare lo sguardo, ad attraversare l’aria, a lasciarsi portare via, andateci, fatevi portare via…
foto di G. Daniela Samperi
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