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Recensione: I volti dell’ombra – un viaggio nell’incubo

Recensione: I volti dell’ombra - un viaggio nell'incubo Recensione: I volti dell’ombra - un viaggio nell'incuboI volti dell’ombra – di Boileau–Narcejac

Dobbiamo confessarlo: non conoscevamo i romanzi di Boileau–Narcejac. E facciamo pubblica ammenda di un’ignoranza che è difficilmente perdonabile, quantomeno a noi che professiamo un amore incondizionato per il genere noir e che del noir consideriamo gli autori francesi come gli indiscussi maestri (Jean Claude Izzo, André Heléna, Jean-Patrick Manchette, Frédric Dard, tanto per fare alcuni nomi). Ringraziamo dunque la casa editrice Adelphi di avercene data l’occasione pubblicando (nella traduzione di Federica Di Lella e Maria Laura Vanorio), I volti dell’ombra, che vide la luce in Francia (con il titolo Le visage de l’ombre) nel lontano 1953.

Pubblicazione assai postuma, dunque, e perciò lodevolmente risarcitoria, perché il fecondo sodalizio letterario tra Pierre Boileau (1906-1989) e Thomàs Narcejac (1908-1998) ha prodotto i suoi preziosi frutti per lo più a cavallo della metà del secolo scorso.

E – come ci è capitato con Jean-Claude Izzo, che ci ha lasciato non più di una manciata di memorabili romanzi – quando avremo “esaurito le scorte” dei romanzi di Boileau-Narjeac che Adelphi meritoriamente sta via via pubblicando, ci sentiremo un po’ orfani e lamenteremo di non aver più nulla da leggere dei due maestri.

Ma veniamo a I volti dell’ombra. Quando abbiamo finito di leggerlo (o meglio: quando ne siamo emersi boccheggiando, alla ricerca di aria fresca), abbiamo capito perché i romanzi di Boileau-Narjeac abbiano stregato registi del calibro di Alfred Hitchcock e Henry- George Clouzot, che ne hanno rispettivamente ricavato capolavori come La donna che visse due volte e I diabolici. Perché ne I volti dell’ombra non c’è una storia, non ci sono misteri da svelare, lieti o cattivi fini a cui approdare, non ci sono poliziotti o commissari con la pipa in bocca che indagano, non ci sono neppure i buoni e i cattivi, i colpevoli e gli innocenti, i carnefici e le vittime. Perché tutti possono essere gli uni e le altre. Come nei più autentici noir che si rispettino, I volti dell’ombra è niente altro che un incubo. E più esattamente: il viaggio all’interno di un incubo. Incubo che si fa impercettibilmente più spesso pagina dopo pagina, e il cui peso vi trovate a sopportare unicamente perché ne siete stregati, narcotizzati.

E che ne direste, se questo viaggio foste costretti a farlo “all’interno” del protagonista, un uomo che ha perso totalmente e di colpo la vista, sentendosi privato tutto d’un botto dello scettro del comando, e comincia a sentirsi perduto, a sospettare di chi gli sta attorno e apparentemente si prodiga per alleviargli il peso della totale cecità, fino a temere, ad avere la certezza che attorno a sé e sopra di sé vi siano soltanto dei nemici che tramano per sopprimerlo?

Ecco, se siete pronti a sopportare questo viaggio, preparatevi a entrare nella testa e nel corpo di Richard Hermantier, magnate dell’industria elettrica reso cieco dall’esplosione di una bomba nascosta nel suo giardino. Preparatevi a lottare, nonostante la totale cecità invalidante, per mantenere le leve del comando della vostra azienda elettrica, preparatevi a firmare documenti e assegni per poi sospettare che vi abbiano fatto firmare documenti e assegni contraffatti o alterati, preparatevi a temere di non essere soli nella vostra camera da letto, preparatevi a sostituire la vista con l’odorato e l’udito e a interpretare l’odore dolciastro di liquerizia o il lontano ma inconfondibile suono di campane a morto, preparatevi a leggere l’iscrizione di una lapide scorrendo trepidanti le dita sulle lettere incise nel marmo.

Sarà un viaggio da incubo, un viaggio in soggettiva, rimarrete con il fiato sospeso per tutto il libro, come pensiamo vi sia capitato nel film La sottile linea rossa di Terrence Malick. Ma preparatevi a un finale che, come in tutti i (purtroppo non molti) grandi noir, vi lascerà soltanto la consolazione di rifiatare.

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