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La caotica scrivania di Lorenza – A scuola … «l’abito fa il monaco». O no?

La caotica scrivania di Lorenza - A scuola … «l’abito fa il monaco». O no? La caotica scrivania di Lorenza - A scuola … «l’abito fa il monaco». O no?

A scuola … «l’abito fa il monaco». O no?

Sui social la discussione sta dilagando, e non da ora: è utile imporre agli studenti italiani il cosiddetto «dress code», ovvero un abbigliamento consono alla dignità e all’importanza dell’istituzione scolastica, vietando dunque look balneari, eccessivamente succinti e provocatori, ovvero inadatti al contesto, come gonne sopra il ginocchio, jeans strappati, top crop, canottiere, bermuda, infradito, piercing al naso, unghie finte etc.? Qualcuno arriva ad auspicare l’avvento della divisa scolastica in stile anglosassone, che, fra l’altro, garantirebbe effettiva eguaglianza fra gli studenti e le studentesse, evitando inopportune esibizioni di capi costosi e firmati che umilierebbero chi non può permetterseli.

Gli argomenti a favore sono sostanzialmente due: il rispetto dell’istituzione (si parla di scuole, non di discoteche!); l’abitudine a seguire regole di bon ton che sono imperative nei luoghi di lavoro (in ufficio non si va certo abbigliati come in spiaggia: è bene che i ragazzi si abituino). Tutto giusto, per carità, ma… da vecchia prof, echeggia in me un grande grandissimo «ma», lo confesso.

Sono la prima a ritenere che la scuola abbia perduto, nel corso del tempo, molta della sua credibilità. Del resto, i media non fanno altro che strombazzare una supposta «emergenza educativa» che troverebbe la sua spiegazione essenzialmente in tre fattori: l’invadenza dei genitori; la perdita di status, sociale ed economico, dei docenti; il generale lassismo educativo che permetterebbe a sciami di bulli di imperversare nelle aule scolastiche, abolirebbe la cosiddetta »meritocrazia», imponendo, tra l’altro, promozioni indiscriminate, magari avallate da perverse sentenze del TAR, spauracchio di docenti e dirigenti, che preferiscono di conseguenza non avere grane ed evitare giudizi negativi e boccature. C’è una parte di verità in queste lamentele, ma, come avviene di solito, in realtà il problema è più complesso: e a problemi complessi bisognerebbe forse trovare soluzioni complesse.

La caotica scrivania di Lorenza - A scuola … «l’abito fa il monaco». O no? La caotica scrivania di Lorenza - A scuola … «l’abito fa il monaco». O no?La faccenda del dress code può apparire assolutamente secondaria rispetto alle questioni che ho evocato, ma, a mio avviso, è spia di un più generale desiderio di ritorno all’ordine in una situazione, quella della scuola, che per molti aspetti viene presentata come fuori controllo. Più nello specifico, è il classico esempio di «guardare il dito, e non la luna». Quando si parla di scuola, le discussioni si polarizzano con una certa veemenza sui sintomi più facili da individuare, rispetto ai quali è facile per il cosiddetto uomo della strada esprimere le sue opinioni di «buon senso» (certo che la scuola non è una spiaggia! ci mancherebbe: anche se nelle aule, in verità, spesso fa più caldo che in spiaggia… magari l’aria condizionata aiuterebbe), ma ben di rado all’opinione pubblica vengono forniti gli strumenti per valutare quali siano i mali più gravi , e assai più reali, che affliggono l’istituzione scolastica.

Mi limito ad una considerazione banale. Mentre si vogliono imporre più stringenti regole di abbigliamento, in nome del rispetto dovuto alla scuola, difficilmente si agisce verso lo stato disastroso in cui versa, nel nostro paese, l’edilizia scolastica. Scuole fatiscenti, spesso non a norma in termini di sicurezza, con arredi obsoleti e strumentazioni inadeguate e inefficienti (qui trovate i dati relativi al 2022 e qui la situazione attuale, che, come si può vedere, non è affatto migliorata). Né i promessi stanziamenti previsti dal PNRR sembrano sufficienti e tempestivi. Quale implicito segnale ricevono i ragazzi e le ragazze, ai quali si chiede educazione e adesione alle regole nei comportamenti e negli atteggiamenti, dallo stato di degrado in cui vengono lasciati gli ambienti che li accolgono ogni benedetta (o maledetta) mattina? Uno, chiarissimo: sono gli stessi decisori politici e amministrativi i primi ad essere indifferenti verso il ruolo e l’importanza della scuola, nonostante roboanti dichiarazioni di intenti e pensosi richiami al merito. Rischiamo di avere studenti vestiti decentemente, certo, ma sotto i detriti dei solai che troppo spesso crollano (61 crolli solo nell’ultimo anno).

La situazione dell’edilizia scolastica è solo uno degli annosi problemi che affliggono la scuola e l’ho usato giusto come esempio. Potrei aprire un capitolo a parte sull’involuzione che, nel tempo, ha subito il ruolo dei docenti, mortificati nella loro autonomia intellettuale, economicamente penalizzati, soggetti ad un sistema di reclutamento che, nonostante numerosi tentativi di rimediare alla piaga del precariato, tutti più o meno inefficaci, tende a cronicizzarla, bollati nella percezione comune come fannulloni (quelli che si grattano la pancia al sole per tre mesi l’anno: non è vero, ma tant’è), obbligati a perdere tempo dietro ad un’asfissiante burocratizzazione della loro professione, esautorati nella loro funzione valutativa da sistemi esterni standardizzati e non trasparenti… e l’elenco potrebbe continuare.

E che dire del perdurante classismo della scuola italiana? Pensare di rimediare imponendo la «divisa» scolastica, che azzererebbe le differenze, sembra quantomeno velleitario.

Ecco, vedete? Sono scivolata da un argomento leggero a ragionare di temi assai più gravi: questo passaggio potrebbe apparire retoricamente spericolato. Ma in fondo la mia riflessione è molto semplice e lineare. L’autorevolezza smarrita della scuola andrebbe riconquistata a partire dalle fondamenta e non indirizzando periodicamente l’attenzione del pubblico sulle apparenze, sui regolamenti, le circolari, il dress code, il divieto di cellulare, il voto in condotta e via discorrendo. Diamo ai ragazzi e alle ragazze (e alle loro famiglie) una scuola che funzioni, che sia in grado di agire come un reale ascensore sociale, che tenga conto delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, degli ostacoli che incontreranno in una società così difficile e contraddittoria. L’ordine non può essere un obbligo, senza che le regole vengano osservate in primo luogo da chi le vuole imporre.

Il rispetto non può essere chiesto senza reciprocità.

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