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La luna storta di Francesco Tozzi – il buono, il brutto, il cattivo

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Il buono, il brutto, il cattivo

Lui porta i capelli come qualche suo mito, i pantaloncini come qualche suo mito.

Le maniere, invece, probabilmente, anzi molto probabilmente, sono quelle dei suoi genitori. A certe cose non si scappa, e la mela, come si suol dire, non cade mai troppo lontana dall’albero.

– Testa di cazzo, ti spacco la faccia. Idiota! –

E con la mano dà una botta allo specchietto della macchina, fino a storcerlo.

Allora io urlo. Scendo di corsa dalla macchina, e lui torna a essere quello che è: un bambino, un ragazzino di 13 anni, solo, con la sua bicicletta da fenomeno del quartierino, di fronte a un adulto che, a differenza del proprietario della macchina (un vecchietto canuto con un paio di occhiali con le lenti a fondo di bottiglia) non tace.

  • Mi ha tagliato la strada – dice il ragazzino, piagnucolando.

  • E se ti investiva che facevi? Addrizza quello specchietto –

Lo guardo negli occhi. Non mi dimenticherà mai. Sono stato anch’io quel ragazzino. Erano tempi, però, dove ogni adulto si sentiva investito del dovere di insegnare ai più giovani, con rispetto, come ci si comportava. Quello che ho davanti, invece, fa quello che fa solo perché ha paura; solo perché mi ha visto uscire dalla macchina in quella maniera, urlando come urlato. Mentre se ne va (borbottando qualcosa che non voglio nemmeno sentire), chiedo al vecchietto come si senta

  • Mi è presa paura non l’ho visto. –

  • Devo chiamare qualcuno? –

  • No grazie. Riparto. –

E mentre il nonno se ne torna verso casa, noto che sul marciapiede c’è una signora che mi guarda.

  • Ho avuto paura – dice

  • Di chi? –

  • Di lei. Ha visto come è uscito dalla macchina? –

  • E lei ha sentito cosa ha detto quel ragazzino a quel signore? –

  • Sono ragazzi –

  • Certo. Però noi siamo adulti, signora. Ora capisco perché c’è tutta questa voglia di sentirsi giovani –

Mentre riprendo la strada penso a tante cose: a come forse abbia ragione la signora, a come ormai essere adulti è una condizione che viviamo con dispiacere che volentieri rimanderemmo, se solo potessimo, per vivere una condizione di incosciente rapporto con la realtà che ci circonda, pieni di alibi per chi, come quel tipo in bicicletta, è un ragazzo, e per chi, come la signora sul marciapiede, comprende e tace.

A quelli come me, non resta che riprendere la via.

Ai nonni di turno, auguro buona fortuna.

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