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Recensione: Breve manuale per una gentrificazione carina – La bellezza ci salverà?

Recensione: Breve manuale per una gentrificazione carina - La bellezza ci salverà? Recensione: Breve manuale per una gentrificazione carina - La bellezza ci salverà?Breve manuale per una gentrificazione carina
Autore: Giovanni Semi
Mimesis Edizioni

Dinanzi a questo volume occorre essere chiari: è una parodia condita a tratti da sarcasmo, ironia, irriverenza e, se si legge bene tra le righe, anche di quell’umorismo pirandelliano che ti strazia il cuore; ma solo dopo aver riso un bel po’ passando attraverso tutto lo spettro delle emozioni.

L’autore consegna il testo a metà marzo del 2022, in un contesto ancora pandemico, e passa per il lavoro di ben due editori.

Immagina sé stesso nel nostro tempo (2023), o forse nel 2024, ormai chiuso fra quattro mura dopo quel che ha scritto e dato alle stampe (cartacee); e continua con la solita ironia velata di tristezza a rivolgersi ai lettori e all’ultimo editore.
Da anni l’autore, il sociologo urbano
Giovanni Semi, tratta la questione della gentrificazione.

I fautori della gentrificazione ce la spacciano per un futuro inevitabile e illuminato, magari persino sotterraneo, in una distopia che mira a nascondere la povertà e il cosiddetto “degrado” sotto il tappetto di città sempre più simili tra loro, copie di copie che si ripetono.
Il bene pubblico, quello reale, cancellato sotto il tappeto dell’apparenza, come se bastasse nascondere i problemi invece che affrontarli.

Partendo dal voluto fraintendimento da parte dei fautori della gentrificazione della celeberrima frase del principe Miškin nell’Idiota di Dostoevskij, La bellezza salverà il mondo, in nome del bello puramente estetico e del carino e di progetti quasi tutti simili di riqualificazione del territorio partendo dai quartieri, ecco che scompaiono i venditori di kebab e tutto ciò che non appartenga all’Unione europea dei 27 Stati.

In tutto il breve, divertente e triste (di quella tristezza che tocca il tuo cuore) manuale, l’autore utilizza termini grotteschi per farci intendere tutta la mostruosità nascosta dietro al “carino” che riqualifica i quartieri.
Ad esempio, quando descrive, per mezzo degli acronimi, i vari interventi di solito previsti.

Un intervento riqualificante potrebbe essere: Facial Expression Common Ideal (FECI); e l’altro, il seguente: Unità di rilevamento interazioni neuronali attive (URINA).
URINA
s’interfaccia con il sistema di telecamere FECI per contribuire alla riqualificazione del territorio in nome della gentrificazione (non gentrification) carina. L’autore non manca di citare anche le strambe formule a cui tutta la realtà degli esseri viventi deve piegarsi per esseri riqualificati, carini e gentrificati:

d(t)=f[dg(t), dfc(t), dsir(t), dstr(t)]

La formula dovrebbe significare che si supera il degrado quando si va oltre la soglia sd (ovvero: l’inaccettabilità) e si entra in b (sb per l’esattezza!), ovvero: la bellezza. Il degrado è, ovviamente, indicato con d e scomposto in dg (degrado da graffito), dfc (degrado da fluidi corporei), dsir (degrado da sostanze stupefacenti), dstr (degrado da presenza di stranieri; perché nessuno è razzista ma…).

Ovviamente questi progetti passano per un Bando in cui sono reclutati, da tutto il bando, artisti antidegrado e sono pagati in…visibilità, perché il denaro è così volgare. Magari coinvolgendo studenti e pagandoli in crediti formativi, tra cui un certo Rocco, tipico studente molisano più volte citato nel testo e che diventerà milionario grazie a una sua startup.

Non bisogna dimenticare di fare tutte quelle attività che non c’entrano nulla con il progetto ma piacciono alla cittadinanza, quando dobbiamo spiegare noi a loro cosa vogliono davvero e di cosa hanno bisogno.

Altra nota dell’autore che ci fa sorridere – ma di quel riso amaro (e non si sta parlando del noto film!) – è l’utilizzo che solitamente si fa (e lo sappiamo perché ne siamo tutte/i parte) di concetti inglesi poco comprensibili ma evocativi come: outreach, open space, stakeholder engagement, workshop, design thinking, know-how, innovation, e così via. Ovviamente l’autore non può certo tralasciare d’unire i suddetti termini a concetti italiani vaghi ma evocativi come: territorio, reti, buone pratiche, spazio pubblico, cambiamento, valorizzazione e altri termini utilizzati e abusati che molto ben conosciamo.

Dopo aver – amaramente – riso e compreso, anche noi, magari con un fil di voce, ci ritroveremo a dire, con l’autore: “Que viva el degrado siempre!”

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