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Recensione: L’uomo, il tempo e il paesaggio – Un’interazione intima

Recensione: L’uomo, il tempo e il paesaggio - Un’interazione intima Recensione: L’uomo, il tempo e il paesaggio - Un’interazione intima“L’uomo, il tempo e il paesaggio”
di Sergio Battista
ChiPiùNeArt Edizioni

Dice di sé Sergio Battista (Roma, 1969): “Sento di credere sempre più allo sguardo rispetto alla parola”.
Mi è parso utile, nello spulciare il puzzle dei vari elementi che compongono la biografia dell’autore del breve saggio “L’uomo, il tempo e il paesaggio”, isolare questa lapidaria professione di fede, perché è in grado di riassumere correttamente sia l’identikit della persona Sergio Battista, sia l’humus che nutre il saggio che qui si commenta.

Gli interessi professionali di Battista sono l’immagine (fotografica e cinematografica) e la musica.
Due interessi che Battista non solo coltiva ed esercita in maniera interdipendente, ma utilizza come strumenti di impegno sociale, di denuncia socio-culturale.

Di tale impegno è esempio emblematico il suo libro fotografico “La voce delle donne: considerazioni al femminile riguardo alla violenza di genere” (Cultura e dintorni, 2022). E tale impegno ritroviamo – sia pure in maniera velata, manifestato con un garbo che sembra testimoniare una dote oggi sempre più rara: la gentilezza d’animo – anche in questo breve e intenso saggio sul rapporto che lega l’uomo sia al paesaggio che lo circonda, sia alla propria storia, testimoniata per l’appunto dal paesaggio stesso.

Nella prima sezione (“Le parole”), l’autore analizza il rapporto che lega l’uomo al paesaggio da undici diverse angolazioni, che costituiscono altrettanti capitoletti. Non sto certo ad elencarvele e analizzarle una ad una: sarebbe noioso e probabilmente del tutto inutile. Piuttosto, sento la necessità di condividere con chi mi legge – e a onore di Sergio Battista – le sensazioni in progress che la meticolosa analisi dell’autore mi ha suscitato: ebbene, sono passato da un’inziale poco coinvolta e scontata condivisione (“ma certo, che scoperta!, non può essere altrimenti”) a un’attenzione desta e preoccupata (“cavoli!, ha ragione, è proprio vero”), per approdare infine a un mix di sensazioni profonde e quasi fastidiose, tra lo sgomento e la nostalgia.

Perché Sergio Battista mi ha costretto a pormi con occhio critico e appassionato davanti a un elemento della mia vita, della vita di tutti noi – il paesaggio – che abbiamo o dimenticato, o stravolto, o fatto diventare semplice sfondo ai selfie fotografici di cui quotidianamente ci abbuffiamo.

Sergio Battista mi ha gentilmente e saldamente tenuto per mano (Virgilio versus Dante Alighieri) in una breve escursione, nella quale mi ha mostrato quanto il paesaggio sia testimone della nostra storia, quanto il paesaggio sia testimone e monito dello stravolgimento che ne ha fatto il progresso tecnologico, quanto il paesaggio sia necessario all’uomo per ritrovare le proprie radici e per indirizzare il proprio agire. E soprattutto quanto oggi dall’uomo sia sottovalutata questa funzione interattiva del paesaggio.

Sentite che sonoro ceffone dà il mio Virgilio all’uomo contemporaneo: “L’individuo-massa… non si specchia più nel paesaggio circostante ma nell’autoreferenzialità dei selfie, nel gusto dell’estetica a scapito dell’etica. Ciò che ne esce compromessa è la capacità di un’interazione intima tra individui e luoghi”.

La seconda sezione del saggio (“Le immagini”) è composta da una serie di fotografie (scattate dall’autore in vari luoghi del mondo) che fissano e sono esempi di varie tipologie di visioni paesaggistiche: dai “paesaggi della moltitudine” ai “paesaggi del vuoto”, passando per i “paesaggi della relazione” e i “paesaggi della solitudine”.

Qui, Sergio Battista esprime tutta quella sua gentilezza d’animo di cui prima ho fatto cenno. E la esprime con la musicalità e il senso della poetica che la sua professionalità artistica “stereofonica” gli ha costituito in dote: i commenti che accompagnano ogni singolo scatto in bianco e nero sono veri e propri piccoli cammei, che mi hanno inevitabilmente ricordato il grande scrittore tedesco W.G. Sebald (1944-2001), le cui opere sono celebrazioni dei miti della memoria e dei ricordi; opere nelle cui pagine Sebald usa seminare piccole fotografie in bianco e nero, nelle quali il testo scritto inciampa, si ferma, riparte.

E la gentilezza d’animo di Sergio Battista, la sua ammirevole discrezione, raggiunge il culmine proprio nelle ultime fotografie rappresentanti “I paesaggi del vuoto”. Sono sedici fotografie struggenti, prive non solo di una qualsiasi presenza umana o animale, ma soprattutto di commento, di parole. Fedele al suo credo, davanti ai paesaggi del vuoto Battista ha preferito starsene in silenzio e ci invita a stare in silenzio, affidando alle nostre capacità ricettive niente altro che la potenza e l’eloquenza delle sole immagini.

Fa eccezione l’ultima fotografia, raffigurante una strada asfaltata che, con un’ampia curva, si inoltra in una scura abetaia. In calce ad essa l’autore non ha saputo resistere alla tentazione, al bisogno di confidarci che era “immerso in un silenzio profondo interrotto solo dal verso di qualche uccello che aveva dimora nel bosco”.

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