Recensione: Suvashun - Le vicende degli “uomini” con gli occhi delle donne Recensione: Suvashun - Le vicende degli “uomini” con gli occhi delle donne

Recensione: Suvashun – Le vicende degli “uomini” con gli occhi delle donne

Recensione: Suvashun - Le vicende degli “uomini” con gli occhi delle donne Recensione: Suvashun - Le vicende degli “uomini” con gli occhi delle donneSuvashun. Una storia persiana
di Simin Daneshv
Traduzione e postfazione di Anna Vanzan
Francesco Brioschi Editore

Suvashun è una parola non traducibile in italiano in una singola parola. Suvashun nel dialetto persiano, evoca il “lamento/requiem per Siyavash”, personaggio dell’epica persiana, simbolo dell’innocenza. Siyavash è l’innocente di cui si fa sacrificio ingiustamente.
Siamo a Shiraz, la leggiadra Shiraz, culla della poesia e della cultura persiane, cantata dai poeti come oasi delle rose e del vino e degli usignoli. Siamo a Shiraz negli anni della seconda guerra mondiale, quando molti innocenti vengono sacrificati in tutto il mondo, proprio come l’eroe Siyavash…
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, l’Iran si era proclamato neutrale. Questa neutralità destava preoccupazione al governo britannico che per evitare un possibile schieramento del governo dello scià in favore della Germania, e per approntare una sicura via di aiuti all’Unione Sovietica, concepì l’ ”Operazione Countenance“. Una vera e propria invasione occidentale.

Ma Suvashun non è un racconto di guerra, Suvashun è un romanzo d’amore. Un romanzo d’amore scritto in una lingua intrisa di melodia e dolcezza, un romanzo dove tutto l’universo femminile con questa voce melodiosa e dolce reclama la propria identità.
Reclamare, nel suo significato più antico, dall’antico francese reclaimer, richiamare il falcone liberato, facendo in modo che qualcosa di selvaggio torni quando è richiamato.
Le donne del neutrale Iran non possono sottrarsi in quegli anni di guerra al cambiamento, usano le voci per richiamare l’intuito, l’immaginazione, il sapere antico e selvaggio e questo… viene a loro.

In questo cambiamento incontriamo Zari, moglie di Yusuf, Zari che evolve da donna timorosa e sottomessa a vera paladina del giusto e, anche se può capitare di tanto in tanto che si guardi indietro per considerare o misurare da dove era partita, non ci vuole più tornare lì, indietro.

Con la capacità di cambiare, all’improvviso, abitudini e prospettive, attingendo alle risorse interiori più sotterranee e a quella “imperfezione” che dona loro flessibilità e forza, per superare la sofferenza; con la capacità di riorganizzare i gesti quotidiani, di prendersi cura degli altri e di modificare persino le dinamiche interpersonali, per far fronte alle avversità, un microcosmo di “tipi” femminili ruota intorno a Zari. Narrando in tal modo le vicende degli “uomini” con gli occhi delle donne.

Le donne che imparano a cavarsela in ogni situazione e hanno la capacità di trasformare ogni evento, anche il più doloroso, in un profondo insegnamento che le renderà ancora più forti.
Così sarà per Zari alla morte del suo amato Yusuf, eroe ai suoi occhi, morto per proteggere i propri contadini.

Le cronache e la storia sono solo in sottofondo, la prosa di Daneshvar, una delle più grandi scrittrici iraniane del ‘900, porta alla ribalta quelli che sono stati i passi fondamentali della lotta condotta dalle donne nell’ombra del loro vissuto quotidiano.

Le piccole vite delle donne dietro le porte di casa, intente a sognare mentre rimescolano le spezie, o quelle costrette ad affrontare la violenza della povertà, della pazzia, della febbre tifoide, la persecuzione, ma che trovano la forza per resistere, per sconfiggere i mostri che cercano di annientare, con la paura e la violenza, ogni parvenza di umanità.

Allora fanno appello alla fantasia, raccontano storie, inventano leggende, inventano un futuro impastando le ceneri della loro vita, come impastano timballi con ricette millenarie. Con la forza di un credo e di una speranza che nessuno riuscirà a distruggere perché nascosti in un mondo antico e irraggiungibile.

Un romanzo sorprendente Suvashun, parla direttamente alla nostra anima, svela rituali a noi occidentali sconosciuti, ma che tuttavia somigliano così tanto a quell’universo misterioso che abita i nostri sogni, un romanzo immortale le cui pagine sembrano scritte oggi, ma che in realtà hanno visto la luce già più di 50 anni fa.

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