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La luna storta di Francesco Tozzi – Il reato dell’opinione

La luna storta di Francesco Tozzi - Il reato dell'opinione La luna storta di Francesco Tozzi - Il reato dellopinione

Con questo articolo diamo il via alla rubrica: La luna storta di Francesco Tozzi.
Un drammaturgo imbrociato, brontolone, musone, che se lo guardi di soppiatto lo scorgi sogghignare con gusto sotto i baffi.
Diamo il benvenuto nella nostra Redazione a Francesco Tozzi,
la cui luna storta è una lente che mette a fuoco nevrosi e manie della vita che scorre.

Buona Lettura dalla Redazione di Puntozip!

Il reato dell’opinione

Uno vorrebbe starsene tranquillo a guardare l’azzurro che si zuppa nel rosso del tramonto, laggiù – dove una volta c’era un meraviglioso sfasciacarrozze e adesso c’è un bambino col culo più grosso della testa che urla tutto il tempo da dentro un villino bifamiliare fatto coi piedi appena quindici anni fa – ma non può.

Adesso vi spiego perché, state tranquilli. Ripartiamo dal sole.
Quello, per sorgere o tramontare mica chiede il parere di nessuno, no?
Com’è che diceva Volonté, nel film su Giordano Bruno?
“Sole-raggi-foglia-pianta-uomo”, noi e il sole dovremmo essere un po’ la stessa cosa, quantomeno legati, no?
No.
Perché, a differenza del sole, eccoci qua a chiedere e a dare opinioni come Andreotti pacchi regalo sotto le elezioni.

A proposito di democristiani: sento gente che rispetto all’argomento di cui sopra dice: “facciamo il coro del silenzio” (lo Zecchino d’Oro non muore mai), oppure “pensiamo bene a quel che diciamo, prima di parlare” (banalità per banalità preferisco sempre il vetusto “basta con la violenza negli stadi”). Robetta.

Perché invece, chiedo io, non pesare economicamente le opinioni di ciascheduno? Quotiamole in Borsa. Così ci accorgeremo, finalmente, che nessuna di queste vale un soldo bucato – data la loro sovrabbondanza.
Quello di fare delle opinioni delle specie di opere d’arte (d’arte contemporanea, ovviamente, conta l’autore, non l’opera) è un vizio di questi tempi maledetti.

Zitti, zitti!
Ecco che arriva l’opinione non richiesta del solitòmino, state a sentire:
“Ma l’uomo ha sempre parlato, si è sempre espresso, diciamo che questa deriva social ha incrementato questo fenomeno, però diciamo che––”

No, l’uomo non ha sempre parlato, caro solitòmino, adesso vai a giocare a mosca cieca sui tetti ché intanto spiego una cosa ai nostri amici, vai.

Uno può esprimere quel che vuole, a parole; a patto che, nel frattempo, si prodighi a fare qualcosa di concreto per lui, per gli altri, per tutti.
Proviamo a rallentare un attimo il nastro (non solo per gli arteriosclerotici, anche per quelli che usano il “piuttosto che” in maniera disgiuntiva, anche per quelli che si definiscono “normali”, insomma): eccoci cliccare, per l’ennesima volta, su quel maledetto tasto “pubblica”. PIANO! PIU’ PIANO. Ecco, così.

Ancora una volta – dopo l’ultima sbronza – ci cade la benda dagli occhi: stiamo esprimendo opinioni non richieste da nessuno, stiamo esprimendo opinioni mentre fuori il mondo continua a girare e il sole a tramontare (sempre senza chiedere il parere di nessuno), stiamo esprimendo opinioni per evitare accuratamente di analizzarci bene bene.

E’ la deriva ultima nostra contemporanea: mettersi dalla parte dei giudici (perché i reality avrebbero così tanto successo, altrimenti? Davvero pensate di identificarvi con quei poveri ragazzi allo sbaraglio? Non è così, sappiatelo) per de-responsabilizzarci, toglierci dal computo, perché al vecchio adagio “gli esami non finiscono mai” si è risposto mettendosi dalla parte degli esaminatori.
Si respira meglio, del resto. No?

“Dov’è finito quel pubblico che esprimeva opinioni di merito attraverso il proprio potere d’acquisto – cioè comprando i dischi, i libri o le altre opere degli artisti e formando un mercato vero, concreto? Quanto pensate che valga un “mi piace”, un “follow”?” sussurrano coloro che amano guardare i cantieri con le mani dietro la schiena.

Niente certo, nonni. Come qualsiasi opinione, oggi. E non è un giudizio di merito personale, lo so: state parlando di dati concreti: se nessuno compra un disco è un fatto; se nessuno mette “mi piace” sotto un post posso dare la colpa a un cretino che lavora tutto il giorno in occhiali (spessi) e mutande di One-Piece e sostituirlo con un’altra faccia ancor più…tosta.

Quanto conta davvero il pubblico, oggi? Quanto contano davvero le sue opinioni?
Ad oggi, pare, meno che nulla. Eppure non c’è stato tempo dove, come nel nostro, l’opinione altrui venisse richiesta in maniera così ossessiva, su tutto, a tutte le ore.
C’è da augurarsi, per il futuro nostro e di chi verrà dopo di noi, che esprimere opinioni torni a essere un’azione concreta e non degeneri in un ennesimo alibi per mettersi di spalle alla vita – quella vita che scorre via come il sole, senza chiedere il parere di nessuno, da una certa età in poi, quel target preso di mira dai “signori” che vogliono trasformare le opinioni in prodotti prêt-à-porter, da sfoggiare sulle nostre bacheche, che di nostro, per inciso, non hanno nulla, nemmeno le opinioni.

Ovviamente, non c’è polemica nelle mie parole.

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