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La luna storta di francesco Tozzi – La corsa di Chingachgook

La luna storta di francesco Tozzi - La corsa di Chingachgook La luna storta di francesco Tozzi - La corsa di Chingachgook

La corsa di Chingachgook

C’è un momento, un momento preciso, signori miei, un momento cinematografico che non scorderò mai: il momento, dicevo, dove,nel finale de L’Ultimo dei Mohicani di Michael Mann (1992) Chingachgook, padre di Uncas, decide di abdicare al suo ruolo di genitore, per tornare guerriero.
La ragione non ve la dirò – se non avete ancora visto il film ve lo rovinerei – ma quel momento tuttora mi commuove, e vi spiego perché.

Uncas, in una corsa finale, pompata dalla musica di Trevor Jones, corre davanti al padre; Chingachgook corre dietro a suo figlio. Lo lascia andare, si fida di lui, lo guarda da lontano correre come un vero guerriero Mohawk. Sa che davanti a lui c’è Magua, capo dei temibili Uroni, feroce e spietato; ma non è preoccupato.
E tuttavia eccolo lì, distante dalla schiena di suo figlio appena una decina di metri. Deciderà di tornare a vestire i panni del guerriero unicamente per una causa tragica, verticale. È triste vedere un uomo maturo costretto a correre come un ragazzino, a combattere con la foga di un giovane; ma tant’è. Qualcosa di superiore lo impone.

Ancora oggi, genitori e figli corrono sul sentiero scosceso e stretto della vita, entrambi armati. Spero sempre che i genitori e figli, quell’arma, la sappiano usare. Dovesse succedere qualcosa, di chi sarebbe la colpa?
Spero sempre che i genitori conservino la buona abitudine di stare accanto (o dietro) ai loro figli; e mai davanti.
Sarebbe un confondere i ruoli. O no?

Mio padre, vecchio guerriero Mohawk dai capelli d’argento, lo sento ancora correre dietro la mia schiena, lo vedo camminarmi accanto senza badare ai dolori. Di fronte al pericolo mette le mani dietro al mio collo e mi spinge avanti. Lui è lì, distante una decina di metri. So – perché l’ho visto – che gli basterebbe poco per tornare a vestire i panni del guerriero; ma so – perché adesso che sono un giovane uomo lo sento, lo capisco – che non vuole.
Perché non sarebbe giusto.

Apro gli occhi sul mondo e vedo un ragazzino di 17 anni, in America, prendere l’ergastolo per aver ucciso quattro suoi compagni di scuola con la pistola regalatagli dal padre; apro gli occhi sul mondo e vedo una masnada di deficienti gridare stupro! stupro! all’indirizzo di un’autista di pullman (donna) colpevole di aver chiesto un po’ di silenzio.
Dove corrono i genitori di quei ragazzi, mi chiedo?

Arriverà il momento in cui, veloci e dritti come una freccia lanciata nel sole, mio padre, e poi io, e poi voi, torneremo alla casa del grande spirito creatore della vita. Arriverà il momento in cui si dovrà decidere se avremmo fatto abbastanza bene per prendere posto nel grande consiglio del popolo celeste.
Nel frattempo, bisogna correre sapendo bene dove stare. Perché è una corsa folle, la nostra: piena di insidie, di pericoli, dove non possiamo sbagliare. Dove non possiamo permettere che i padri tornino guerrieri per rimediare agli errori dei figli.

Imparare bisogna, questo sì, a prendere confidenza con la fatica e le tentazioni che una corsa senza pause come la nostra vita ci mette di fronte.
Per sorprendere il Nemico; e non far sì che siano i vecchi, a chiudere le stirpi.
Che la morte, insomma, ci trovi vivi.

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