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Recensione: I capitoli dimenticati di Cervantes – il mito di don Chisciotte della Mancia

Recensione: I capitoli dimenticati di Cervantes - il mito di don Chisciotte della Mancia Recensione: I capitoli dimenticati di Cervantes - il mito di don Chisciotte della ManciaI capitoli dimenticati di Cervantes
Juan Montalvo
Arkadia Edizioni

Chi di noi non ha sognato almeno una volta nella vita di essere un cavaliere errante? Di attraversare paesaggi deserti, di scontrarsi con esseri fatati o demoni, di combattere in difesa dei deboli per far prevalere la giustizia e l’amore? E chi non ha fantasticato di avere possedimenti, ricchezze e beni da poter dispensare in cambio di favori e di un servitore fedele?
Chi non ha elucubrato sulla figura di don Chisciotte della Mancia? L’iconografia del cavaliere magro e alto, seguito dall’inseparabile e saggio scudiero Sancho Panza, è diventata rappresentativa della lotta contro le ingiustizie universali.
Con I capitoli dimenticati di Cervantes, Juan Montalvo offre una grande opportunità al lettore: continuare a vivere il mito creato da Miguel de Cervantes, emulando lo scrittore nella lingua (un castigliano purissimo) e nella struttura, senza avere assolutamente la pretesa di sostituirsi ad esso. Juan Montalvo, grande studioso e conoscitore dell’autore spagnolo, che ritiene un genio assoluto della letteratura, dice nel prologo-manifesto dell’opera:
… I capitoli dimenticati di Cervantes non contengono casi fittizi e fatti mai successi, ma fatti reali e positivi del tutto, o convertiti in quadri completi grazie a un’aggiunta, un tocco, una pennellata che, attirando la nostra attenzione, sono penetrati a risvegliare nell’anima un mondo di sensazioni collegato a una intorpidita reminiscenza.
In questa dichiarazione troviamo l’essenza stessa del romanzo che, ospitando il personaggio del Chisciotte di cervantina memoria, si prende la libertà di descrivere scene e situazioni contemporanee all’autore e del tutto reali; il tutto condito con audace salsa cavalleresca.
E audace è anche l’impresa di far rivivere il Chisciotte, che l’autore ecuadoriano può affrontare con perizia in quanto studioso di grande talento e raffinato conoscitore del Cervantes e della sua opera. Juan Montalvo fu inoltre un idealista, un difensore della libertà e della giustizia sociale, caratteristiche queste che senza difficoltà possono essere trasposte nel personaggio del grande don Chisciotte.
Nel racconto ho potuto riscontrare un’evoluzione ulteriore del romanzo picaresco. Montalvo, infatti, pur lasciando inalterate le caratteristiche del genere, mantiene un punto di vista colto, che definisce la condizione di hidalgo del protagonista, rispetto alle più disperate comparse.
Sarebbe difficile, in questo breve spazio, fare una sinossi delle numerose nuove avventure del cavaliere della Mancia, basta sottolineare che la narrazione veloce, lo stile colto ma tondo e fruibile, rendono quanto mai godibile la lettura di un romanzo che diverte, commuove e fa riflettere su come, al di là del tempo, certi vizi dell’animo umano rimangono inalterati.
Arkadia Edizioni, con la bella edizione curata da Alessandro Gianetti e tradotta per la prima volta in italiano da Riccardo Ferrazzi e Marino Magliani, ci dà la possibilità di conoscere un autore raffinato e autentico.
Vengo a concludere riportando i versi finali del romanzo, apposti, un po’ per sberleffo un po’ per giustizia nei confronti dello scudiero, da fratel José Modesto al testamento di don Chisciotte:

Item ancora: se col passar del tempo
diventasse cavaliere errante
qualche mio discendente
che ancor non è uscito dal nulla,
dispongo che prenda come scudiero
Sancho Panza, che alla fedeltà
e all’onore aggiungerà l’esperienza.
E quando otterrà l’impero
che spetta al buon cavaliere errante
lo faccia conte o gran maestro:
questi sono i premi di don Chisciotte.

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