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Recensione: I segreti di tutti – La semplicità della vita e la semplicità della morte

Recensione: I segreti di tutti - La semplicità della vita e la semplicità della morte Recensione: I segreti di tutti - La semplicità della vita e la semplicità della morteI segreti di tutti
di Benedetto Saraceno
Marcos Y Marcos Editore

I segreti di tutti, una raccolta di racconti brevi, trenta in tutto, si apre al genere in modo impeccabile: storie strutturate con abilità, con un incipit sereno e un finale inaspettato.

All’inizio è il mondo ordinario, così simile a quello di ognuno di noi ma anche così diverso: i vezzi, le manie, i pregi e i difetti del nostro vivere da animali imperfetti in un mondo imperfetto.

Le short stories firmate da Saraceno sono unite da un fil rouge che le collega le une alle altre: la semplicità della vita e la semplicità della morte, la quale non per forza deve essere complessità, sofferenza, dolore e non per forza deve essere annunciata da schiamazzi apocalittici. Semplicemente avviene, come avviene la vita, e può accadere in un momento qualsiasi, a volte senza che l’interessato abbia modo di accorgersene.

O, al contrario, può non accadere quando si aspetta.

Come nel caso Carlo Emilio, il protagonista di Una possibile signoria sulla morte, dove tutto è incominciato con una sensazione di peso proprio davanti all’orecchio destro, un peso ma anche una trafittura ogni tanto, all’improvviso. Alla palpazione Carlo Emilio percepisce un nodulo, duro e immobile.

Ma in realtà, alla fine, scopre che niente, non deve morire, non deve governare la sua morte. E allora accade che: è quasi deluso perché era tutto pronto e quando verrà la morte, la prossima volta, dovrà ricominciare da capo e magari non riuscirà a essere sereno come questa volta.

È come aspettare l’esecuzione di una sentenza. Non la sentenza perché la sentenza di morte è già detta dalla nascita.

Quello di I segreti di tutti è un Universo frequentato da protagonisti – sono uomini gli attori principali – presentati con meticolosità dall’autore, che mostra una certa urgenza di farceli incontrare.

La descrizione, prima fisica e poi comportamentale ed emotiva, di un’umanità tanto variegata, rivela di sicuro che l’autore è un raffinato osservatore e conoscitore del genere umano, raccontato con una prosa letteraria ma anche colloquiale, caratterizzata da un grande realismo.

Benedetto Saraceno ci trasmette attenzione, amore, sofferenza e, a volte, violenza, utilizzando un punto di vista esterno, senza esprimere giudizio alcuno, contrapponendo la vita alla morte, ineluttabile conclusione di ogni esistenza.

Diventa un osservatore esterno della realtà, della mirabilia che essa genera, e delle sue conseguenze.

I personaggi sfilano precisi e nitidi come su un palcoscenico o come nelle caselle colorate e irregolari di un quadro di Piet Mondrian.

Sono esistenze organizzate, né buone né cattive, a volte banali, altre fanno sorridere, provare rabbia o commozione. Ed è questo il caso di Rino, il librario che “aveva una libreria in un quartiere popolare e tutti lo spingevano a farne una cartolibreria, con materiali per la scuola e qualche giocattolo. Lui, Rino, resisteva e diceva che no, i libri sono sacri e si mischiano solo con altri libri, l’unica concessione che considerava, ma anche con una certa riluttanza, era semmai che non tutti i libri fossero, come diceva lui, roba seria‘. Poteva accettare di vendere qualche poliziesco molto commerciale e qualche romanzo rosa, giusto per un pubblico più di bocca buona, ovvero, sogghignava Rino, di bocca pessima”.

Trovo che questo breve stralcio dal racconto La libreria Ganesh, sia esemplificativo della sensibilità di Saraceno nei confronti dei suoi protagonisti; sensibilità che viene trasmessa al lettore e alla lettrice senza tralasciare una vena di sottile ironia.

Non si può non provare simpatia per i personaggi, anche quando fanno di tutto per risultare pedanti, noiosi, cattivi. E questo accade poiché in ognuno di loro ritroviamo una parte di noi: che ci piaccia o no, noi siamo il dottor Bozzetti, l’Antonio Canni, il Leonid Nekipelov. Ma anche il Pella che “era odioso. Non era facile spiegare perché lo fosse, ma era decisamente odioso a tutti”.

Accanto a tutti questi uomini, a volte umili a volte ego centrati, danzano e si elevano altrettante donne. Sono loro le coprotagoniste, le muse ispiratrici in senso sia metaforico che reale, e non sempre Muse positive.

Come in ogni rispettabile rappresentazione della Commedia umana, le donne sono fate, sono streghe, dominano o si fanno dominare, sono amanti, madri, figlie… si perdono e si ritrovano, soffrono, muoiono.

Eccole allora: Samantha, Bianca Ranucci, la signora Lorenzi, la Minervini (piuttosto bruttina), la Ernani (una di quelle segretarie di un tempo andato).

E l’indimenticabile Rosa Rossa, Rosa di nome e Rossa di cognome, predestinata moglie del maestro Arturo Fezzi.

Aveva quindici anni di meno del professore, dunque 45 anni, ed era una donna molto sovrappeso, con un culone debordante, seni come angurie, e una pelle candida e ancora giovanile. Aveva occhi bellissimi: blu scuro con lunghe ciglia sinuose. E una bocca grande, resa evidente da rossetti clamorosi. E una bella risata rumorosa.

La parte della lezione dedicata a suonare il piano diveniva ogni volta più ridotta, mentre la maggior parte del tempo Arturo e Rosa chiacchieravano e soprattutto ridevano”.

E poi ci sono i bambini, spesso succubi degli adulti, vittime delle loro fobie e della violenza che per osmosi introiettano. È l’immagine di un’infanzia sofferente, che non ha voce per essere ascoltata:

Francesco ora stava bene perché i fuochi erano belli e la mano del fratello poggiava tiepida sul collo. E allora, proprio mentre trascorreva quella felicità, sentì anche un dolore nel petto, come una puntura dolce ma acuta. Sentiva che era solo, che tutto era incerto e minaccioso. Sentiva su di sé e dentro di sé il dolore del mondo intero, quel dolore universale che solo i bambini, a volte, devono e sanno sopportare. Soli e schiacciati dal dolore universale. Francesco sentiva che quella solitudine e quel dolore non sarebbero mai scomparsi e lo avrebbero sempre accompagnato. Fino alla fine dei suoi giorni”.

I segreti di tutti è un libro che si fa leggere con grande piacere, e che consiglio anche a coloro che hanno magari qualche remora ad approcciare questo genere letterario, che può regalare invece molte sorprese.

E poi, in chiusura mi concedo una nota personale: che bello leggere racconti brevi! Una lettura che si completa in poche pagine, che non approfitta del tuo tempo, ma si adatta a esso, lasciandoti una storia che inizia e finisce, un libro che può essere chiuso e riaperto, senza il fastidio di ricordare dove si era rimasti. Questa è la virtù del racconto, e quando è ben costruito, come nel caso del libro che ho appena finito di leggere, non si può che apprezzare.

Benedetto Saraceno è nato a Genova nel 1948. Psichiatra ed esperto di sanità pubblica, ha lavorato a Trieste sotto la direzione di Franco Basaglia e Franco Rotelli, e a Milano come responsabile della Comunità per pazienti psicotici gravi prevista dalla legge Basaglia. Nel 1990 è diventato direttore del Laboratorio di epidemiologia e psichiatria sociale presso l’Istituto Mario Negri. È stato uno dei leader del movimento di Psichiatria antistituzionale e ha lavorato per molti anni in America latina, dove ha promosso modelli comunitari di assistenza psichiatrica ispirati alla difesa dei diritti umani dei pazienti. Dal 1999 al 2010 ha diretto il Dipartimento di salute mentale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a Ginevra. Vive in Francia.

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