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Recensione: “Il cinema che ho visto. Frammenti di un’autobiografia” – Riflessioni, aneddoti, citazioni

Recensione: "Il cinema che ho visto. Frammenti di un'autobiografia" - Riflessioni, aneddoti, citazioni Recensione: "Il cinema che ho visto. Frammenti di un'autobiografia" - Riflessioni, aneddoti, citazioniIl cinema che ho visto.
Frammenti di un’autobiografia

di Gian Piero Brunetta,
editore
Carocci

Vedere, percepire con la vista, è un processo complesso che consente la trasformazione in sensazioni visive dell’energia luminosa raccolta dall’occhio, la visione. Ma il termine “visione” è anche osservazione attenta, esame: “prendere in visione”. Nel linguaggio cinematografico è la proiezione di un film a un pubblico. Le “visioni” possono anche trascendere la realtà ed essere sogni, allucinazioni, miraggi… quanto di più vicino al cinema.

Gian Piero Brunetta, testimone oculare nel senso più rigoroso del termine, con questo volume ci regala una “visione” del cinema insieme personalissima e celebrativa dei film più classici dell’immaginario universalmente condiviso. Pagina dopo pagina si compie un tragitto di conoscenza attraverso le immagini che l’autore riesce a ricreare con aneddoti, citazioni, piccole rivelazioni. Piccole perle che vanno oltre la quotidianità del ruolo di “professore emerito”, piccole perle che rappresentano sinteticamente un mondo.

“Rappresentano” non in modo esplicito, ma tramite il sedimentarsi delle esperienze srotolando il significato assunto con il tempo da sequenze e immagini. Ne deriva il senso della dignità del cinema, il suo carattere didascalico e la necessità di studi più approfonditi su esso. Il contributo dell’autore produce non solo la trasmissione di opere cinematografiche archetipe, ma anche di insegnamenti profondi. Accettare la forma dei grandi registi come testimonianza storica e artistica, equivale ad accettare che essa possa in qualche modo esistere al di fuori o al di sopra dell’immediata esperienza umana della fruizione. Il problema fondamentale della costruzione filmica diventa la qualità formale. Le stesse intenzioni narrative del film sono subordinate all’inedita interazione tra cinema e società, cinema e vita. Il percepire tale interazione delinea una possibile traccia non ancora seguita o percorsa.

Tratto unificate e qualificante delle citazioni è l’assunzione delle inquietudini e del linguaggio di un mezzo moderno quale è il cinema, il suo delinearsi come fatto storico e quindi capace di confermarsi come capitolo ulteriore di nobilissima e insopprimibile tradizione umanistica.

L’animo dell’autore traspare dalla selezione delle opere e delle tematiche affrontate e dalla strettissima solidarietà tra queste e lo scorrere della sua vita. “Frammenti di un’autobiografia” che si legano a frammenti di pellicola. Il risultato è una lettura esplicitamente contemporanea del cinema che travalica la fissità da “Museo del film”. Il significato metaforico del museo risiede nell’essere un luogo unico e raro in cui qualcuno ha scelto per gli altri. Ma il processo continuo di richiami, di risonanze, di assonanze, conducono non solo alla percezione di un messaggio ma anche all’interpretazione delle opere citate.

Il contesto sociale, il momento storico, le scelte della censura e i relativi tagli, la percezione stessa del pubblico, tutto contribuisce a rendere il film un organismo testimone e vittima del suo tempo.
Il libro non appare più un semplice contenitore di pensieri e teorie, ma diventa un autoritratto puntualissimo dell’autore, mettendo in mostra il cinema nel suo divenire.

“Per merito del cinèmatographe l’uomo ha assunto poteri prometeici: (…) è riuscito a dar vita, mescolando fango e polvere di stelle, alla nuova Eva (…). Questo essere fantasmatico ha fatto assaporare ben presto i piaceri di molti frutti proibiti nei nuovi paradisi dei poveri, piccole sale puzzolenti con nomi che evocano l’ascensus ad superos come Nirvana, Excelsior, Eden, Paradiso, ecc.”

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