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Recensione: “Storia dell’idea di tempo”, il mondo è fatto di scelte e non si può spiegare con la ragione

Recensione: "Storia dell'idea di tempo", il mondo è fatto di scelte e non si può spiegare con la ragione Recensione: "Storia dell'idea di tempo", il mondo è fatto di scelte e non si può spiegare con la ragioneLa collana “Canone Minore” diretta da Rocco Ronchi, “presenta al lettore italiano un’altra tradizione di pensiero che scorre carsicamente nel territorio della filosofia moderna. “Minori” sono tutti quei filosofi e tutte quelle esperienza del pensiero che nella modernità sono rimasti fedeli alla vocazione della filosofia nel tempo della sua dismissione generalizzata.”

Calvino dice:

“[…] L’incipit è il momento della scelta: ci è offerta la possibilità di dire tutto, in tutti i modi possibili; e dobbiamo arrivare a dire una cosa, in un modo particolare. Ogni volta l’inizio è questo momento di distacco dalle molteplicità dei possibili”.

La mia scelta , cercando di trasmettere il “sapore” di questo volume, è di partire dalle note sulla traduzione.

La traduzione di Storia dell’idea di tempo (Mimesis Edizioni) è stata condotta prendendo come riferimento il testo dell’edizione francese PUF, (Titolo originale: Henri Bergson, Histoire de l’idée de temps. Cours au Collège de France 1902-1903, a cura di C. Riquier, PUF, Paris 2016); che si basa sul testo dattiloscritto ricavato dalla trascrizione fedele delle lezioni di Bergson.

La scelta del curatore, Simone Guidi, è stata quella di conservare il più possibile il linguaggio orale del filosofo, seppur rimaneggiando la punteggiatura caotica perchè legata ai ritmi del parlato. Sono riportati nel volume i tanti testi latini e greci citati da Bergson durante il corso. Testi che il filosofo traduceva all’impronta e che spesso farciva con brevi commenti personali o con aperture a discorsi riassuntivi del suo pensiero. Tutto questo tradotto in italiano nella maniera più prossima possibile.

La scelta infine è stata quella di restituire la forza dialettica e il carisma del professor Bergson. Siamo in aula con lui e pendiamo dalle sue labbra.

La Storia dell’idea di tempo fa parte di un autentico ciclo di Corsi che Bergson, titolare dapprima della cattedra di filosofia greca e latina (1900-1904) e poi della cattedra di filosofia moderna (1904-1921), teneva a Parigi. Attività parallela alla stesura delle proprie opere, brillava di luce riflessa.

Tuttavia questi corsi sarebbero andati persi, se il poeta e filosofo Charles Péguy, nell’impossibilità di frequentare direttamente le lezioni, non avesse scelto di affidare a due stenografi, i fratelli Raoul e Fernand Corcos, il compito di trascrivere parola per parola tutto ciò che Bergson pronunciasse.

Come sottolinea Simone Guidi nella prefazione: “L’intenzione di Péguy era, appunto, quella di catturare, oltre ai contenuti, anche l’atmosfera, i non-detti e perfino i silenzi e le pause di quelle lezioni, per riviverle privatamente e cogliere i segreti di colui che considerava un grande maestro”.

I dattiloscritti tratti dagli appunti dei due stenografi sono rimasti inediti a lungo per scelta esplicita dello stesso Bergson che nel proprio testamento aveva inibito formalmente la pubblicazione di qualsiasi suo manoscritto, corso, lezione, conferenza e persino lettera, affermando di “aver pubblicato tutto quello che desiderav[a] rendere pubblico” .

Per arrivare alla pubblicazione si è dovuto attendere il 1990 quando Gouhier, esecutore testamentario di Bergson, concede la sua autorizzazione.

Quella edita da Mimesis è la prima edizione italiana completa del Corso sulla Storia dell’idea di tempo. Si tratta di un ciclo di diciannove lezioni, dedicate alle concezioni del tempo nella storia della metafisica classica e soprattutto alla loro critica.

Il modo in cui è stata condotta la traduzione dal francese, fa sì che da lettori ci trasformiamo in veri e propri allievi presenti alle lezioni. Potremmo definirlo l’effetto “Charles Péguy”.

Il volume inizia così:

“Signori,

lo scorso anno abbiamo esposto alcune prospettive sul tempo, quest’anno proseguiremo il corso dell’anno passato, seguendo quest’idea del tempo attraverso la storia dei sistemi”

…è Bergson a parlare. Come d’incanto siamo trasportati in aula, con lo sguardo puntato sulla sua magnetica figura. Questa “illusione” che vince la barriera della linearità cronologica, basta a dare forza al pensiero bergsoniano.

Il Corso è un passaggio chiave per l’elaborazione del pensiero successivo del filosofo. Un passaggio che il Bergson più maturo descriverà così:

“Noi percepiamo il mondo materiale, e questa percezione ci sembra essere, a torto o a ragione, al tempo stesso in noi e fuori di noi; da un lato è uno stato di coscienza, dall’altro è una pellicola superficiale di materia in cui il senziente e il sentito coincidono. “

In molti sensi è dunque una cerniera, che lega un periodo del pensiero all’altro partendo dall’intuizione “psicologica” della durata. I Corsi accompagnano lo sviluppo della filosofia di Bergson, fino al capolavoro del 1907, L’evoluzione creatrice.

All’epoca erano considerati non solo lezioni di filosofia, ma veri e propri eventi mondani, autentica e ben studiata spettacolarizzazione della filosofia francese.

A testimonianza di questa funzione “pubblica” della filosofia e della didattica di Bergson si può citare l’articolo anonimo pubblicato nel 1911 sulla “Rivista di Filosofia Neo-Scolastica” Il successo di Enrico Bergson, che attacca ferocemente il bergsonismo.

“Il successo di Bergson si accentua ogni giorno, soprattutto all’estero. Non ci si accontenta di proclamare che egli è il primo metafisico della nostra epoca; non ci si accontenta di confrontarlo con Kant o con Descartes; lo si pone al di sopra di tutti i filosofi che lo hanno preceduto. (…) Per farsene un’idea è necessario aver assistito a uno dei suoi corsi al Collège de France; ove si ha l’impressione di assistere a una première; le automobili aspettano alla porta, i servitori in livrea conservano i posti che saranno occupati dalle grandi dame; e, quando il maestro appare, si sente che egli affascina il suo uditorio.”

Nelle diciannove lezioni tenute al Collège de France tra il 1902 e il 1903 Bergson si confronta con i classici: Platone, Aristotele, Plotino, Galileo, Descartes, Spinoza, Leibniz, Newton e Kant. Alla base della metafisica occidentale il filosofo sottolinea una sostanziale negazione del tempo, stimato come porzione di una indiscussa e primigenia eternità. Da Platone a Kant, il tempo dunque è stato trattato come un’idea, un tempo ideale, astratto, ridotto alla sua immagine numerica che ha poco a che fare con il tempo reale. Bergson pone l’accento invece sulla «durata»: il tempo pulsante, vivente e non lineare.

La durata, è un tempo non misurabile matematicamente: un tempo che si lascia cogliere solo da una sorta di «istinto intellettuale». ll vero centro di interesse del pensiero di Bergson è quindi la coscienza dell’uomo. La scienza positiva e la metafisica classica procedevano traducendo la qualità in quantità e il moto in fasi statiche. Tale approccio impediva di penetrare gli aspetti più profondi e qualitativamente dinamici della nostra vita psichica, lasciandosi sfuggire la vera natura umana.

Tutti ricordiamo il paradosso di Achille e la tarturuga che ci hanno insegnato a scuola. Zenone se ne serviva per dimostrare la difficoltà di essere rigorosi nei ragionamenti riguardanti l’infinito, mostrando come anche nozioni di uso comune (principalmente quelle riguardanti il movimento) potessero, racchiudere una grande complessità.

Bergson parte dal paradosso per arrivare a una formulazione arguta di una convinzione: non si può spiegare questo mondo con la ragione. Per Bergson, il movimento, non appartiene alla dimensione fisica dello spazio, bensì a quella dello spirito. La natura del movimento è indivisibile, e l’errore che commettiamo spesso è quello di confondere movimento e spazio percorso.

I numeri, in sintesi, non bastano a descrivere la realtà e neppure il tempo.

l’esperienza del tempo è creata dalla mente. Il tempo non trascorre, il tempo semplicemente è. Eppure, nessuno dubita che il tempo passi. Inevitabile che sia così, visto che il cervello misura il tempo. Ma, a volte, sbaglia. A disorientarlo, sono innanzitutto le emozioni.

Le stesse emozioni che, leggendo, di pagina in pagina, ci trasformano in studenti francesi dei primi del novecento, ipnotizzati dal carisma di Bergosn.

In un mondo che corre veloce e dove il tempo è mercificato e svalutato, forse dovremmo riflettere sul pensiero di questo filosofo e ricordarci che la misura della nostra vita non è il quanto, ma il come.

E di nuovo compiere di conseguenza la nostra scelta nella “molteplicità dei possibili”.

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