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Recensione: “Tintoretto, un ribelle a Venezia”, storia di astuzia e di successo

Una proto-rockstar per David Bowie (che ne possedeva un’opera), il primo regista cinematografico per Sartre. Questa è l’impronta che Tintoretto e la sua capacità innovativa hanno lasciato nel sentimento collettivo.

Jacopo Robusti, questo il nome all’anagrafe, prima allievo e poi grandissimo rivale di Tiziano, viene sapientemente descritto in questo documentario a cura di  Melania G. Mazzucco e narrato da Stefano Accorsi.
Proprio l’attore riesce a dare un contributo decisivo, attraverso un racconto nitido e ben interpretato, tale da coinvolgere senza mai tediare o avere cali d’intensità.

Scopriamo un personaggio sicuramente conosciuto ed apprezzato, ma che riserva qualche sorpresa ad un’analisi più approfondita. La sua rappresentazione dello spazio, ad esempio ed anche una inaspettata spregiudicatezza tattico-strategica capace di superare ostacoli ritenuti insormontabili ed affermarsi sino alla vetta, rappresentata dalla Scuola Grande di San Rocco, nella quale riuscirà a realizzare opere straordinarie anche all’occhio dell’uomo del ventunesimo secolo.

Tintoretto rockstar, dicevamo, capace di sperimentare ante litteram tecniche che oggi chiameremo di promozione dell’immagine quando non palesemente pubblicitarie, arrivando persino al dumping nei confronti della concorrenza. E quella concorrenza si chiama, appunto, prima Tiziano e poi Paolo Veronese: due veri pesi massimi, con il primo dei due ad osteggiarlo platealmente in tutti i consessi.

Parallelamente alla narrazione, quasi in un gioco di progressiva rivelazione visuale ed artistica allo stesso tempo, seguiamo il restauro di due capolavori di Tintoretto: “Maria in meditazione”(1582 – 1583) e “Maria in lettura”(1582– 1583), possibile grazie al decisivo sostegno di Sky Arte e che saranno esposte per le celebrazioni in occasione dei 500 anni della nascita del pittore.

Il resto sono immagini di una straordinaria efficacia, l’impatto visivo di Tintoretto – Un ribelle a Venezia è talvolta tale da lasciare senza fiato. Complice una Venezia dai mille volti e dal multiforme fascino, è tutt’altro che raro scoprirsi rapiti da questo documentario. Ma guai a distrarsi: non si perde solo una bellissima storia ma persino un cameo del regista Peter Greenaway, qui nelle vesti di fan dell’artista veneziano.

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