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Recensione: “Trionfo d’amore. Breve storia del fotoromanzo” – Storia di sogni e di “bambole appassionate”

Recensione: "Trionfo d'amore. Breve storia del fotoromanzo" - Storia di sogni e di "bambole appassionate" Recensione: "Trionfo d'amore. Breve storia del fotoromanzo" - Storia di sogni e di "bambole appassionate"“Stanco già di mirar, non sazio ancora,
or quinci or quindi mi volgea guardando
cose ch’a ricordarle è breve l’ora”
(dal Trionfo d’amore del Petrarca)

È così che Aldo Dalla Vecchia ci introduce a cose tanto piacevoli che a ricordarle passa il tempo senza noia ed esso è “pur breve per lo diletto che ne trae dalla memoria” a voler prendere in prestito le parole che Lodovico Castelvetro, filologo del 1500, dedicò al Trionfo d’amore del Petrarca.

Ebbene sì, “è breve  l’ora” per “Trionfo d’Amore. Breve storia del fotoromanzo” edito  da Graphe.it, perchè viviamo un momento storico in cui siamo assetati di storie belle, di un’Italia che si ridesta, che racconta, che mette in scena i sogni di un’intera generazione sopravvissuta ad anni bui, a miseria, a orrori di ogni tipo.
Può sembrare un’operazione nostalgica, ma è quella nostalgia positiva, che non si residua in mero ricordo dei tempi che furono, trasformandosi invece, in linfa per nuovi e inediti slanci creativi.
l lettori che iniziarono a sfogliare quelle nuove riviste non volevano la cruda realtà, semmai volevano sfuggire da essa. Non ambivano a immedesimarsi con protagonisti traditi e abbandonati destinati all’insuccesso, ma desideravano vivere, almeno con la fantasia, una storia appassionata che regalasse qualche momento di serenità e speranza.
Probabilmente potremmo parlare di un’epoca colpita in maniera diffusa dalla sindrome del lieto fine. Lieto fine tipico della letteratura rosa.

La sindrome del lieto fine non riguarda esclusivamente lettori semplici e di bocca buona, tutt’altro! È come se a un certo punto ci si trovi davanti a due strade differenti: la prima, diffusa nella letteratura “classica”, ricerca finali drammatici a prescindere, per evidenziare la natura “matrigna” della vita. L’altra strada, da cui prende vita il successo del fotoromanzo, ribalta il dramma con cui l’opera si presenta inizialmente e sul finale aggiusta il tiro, regalando al lettore speranza e consolazione.

Vince in quegli anni quindi, il potere consolatorio del lieto fine, che è forse una delle molle, dell’energia, che spinge ad essere positivi anche in momenti difficili personali e collettivi, sperando appunto che quel che verrà sia sempre meglio di un presente negativo.

Il fotoromanzo, fenomeno tutto italiano, che ha fatto il giro del mondo per ritornare a noi in forme evolute e varie, è la storia di quell’energia, la storia dei sogni dei nonni di noi tutti, delle loro illusioni e passioni.
È la cartina tornasole di un’Italia ingenua e speranzosa che si affaccia alla nuova era dopo anni di guerra e di dittatura, un’Italia che ha fiducia nel progresso, in nuove tecniche di stampa, nel crescere di nuove competenze, che scommette sulla carta patinata e sull’uso del colore, (che così tardi comparirà invece in televisione…), nell’affermarsi della fotografia e del cinema, che mette in piedi “aziende” dedicate alla creazione di sogni collettivi.

Nel breve saggio di Dalla Vecchia da Grand Hotel in poi, la storia è descritta in tutti i suoi minimi passaggi. Le intuizioni, i progressi, la competizione, i divi, il successo, i tradimenti. Una storia appassionante come quelle che scorrevano nelle pagine, fotogramma dopo fotogramma.

È la storia di tutte le “bambole appassionate” e del loro “sceicco bianco”
Lo sceicco bianco, film felliniano citato nel testo dall’autore, è metafora perfetta dell’amore di Dalla Vecchia nei confronti di questo genere. Amore per le tante riviste, sfogliate, consultate, possedute fin dalla più tenera infanzia. Riviste che profumano di sogno popolare, limitato, prevedibile in tutti i suoi sviluppi, eppure rappresentativo delle aspirazioni di un pensiero italiano che cerca di superare l’orizzonte quotidiano.

Dalla Vecchia descrive come il fotoromanzo rosa, considerato a torto genere minore (basti pensare che il MoMA di New York espone la copertina di un fotoromanzo italiano del 1950, con un’ancora semisconosciuta Sophia Loren), trovi eco in varie forme, sviluppando vari generi, come il fotoromanzo letterario, educativo, religioso e finanche politico e satirico. Racconta della sua osmosi televisiva e cinematografica, parla con un certo languore del suo declino e di eventi drammatici legati alla sua storia, come l’incidente che paralizzerà, giovanissimo, Franco Gasparri, uno dei divi più amati.

La lettura segue due registri, con due intensità differenti: una fresca, allegra e divertente legata ad aneddoti e curiosità, l’altra più intensa e profonda che narra dell’avviarsi al declino di un genere che a tutto diritto entra nella storia dell’arte italiana.
Ma parliamo di fotoromanzo e il lieto fine è d’obbligo, come le sue mille storie di carta stampata dove assistiamo all’inevitabile “trionfo dell’amore”, anche il fotoromanzo volge con una piroetta verso il sorgere di una nuova alba, così Sogno torna in edicola, con vecchie e nuove storie, grazie a Mario Sprea, classe 1934, storico sceneggiatore.
Sogno, insieme al concorrente Grand Hotel, era una delle riviste più diffuse nel secondo Dopoguerra.

Aldo Dalla Vecchia, ci accompagna, pagina dopo pagina, documentando ogni sviluppo con citazioni e note, in questa storia che sembra concludersi nel più classico dei modi e che ci dà appuntamento, facendoci l’occhiolino, a una prossima appassionante puntata.
I capitoli si leggono velocemente e i protagonisti della storia del fotoromanzo sono descritti in maniera vivace e divertente, quel che ci resta dentro è una gran sete di immagini, un desiderio smodato di quei volti bellissimi che si affacciavano ammiccanti dalle fotografie, con i loro occhioni languidi e che toglievano il sonno a tanti giovani cuori innamorati. Per risanar l’arsura ci toccherà sfogliare ancora, e ancora, quelle pagine oggetto di così tanto amore.

“Stanco già di mirar, non sazio ancora,
or quinci or quindi mi volgea guardando
cose ch’a ricordarle è breve l’ora.”

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