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CuriosArte: La violenta notte che fece impallidire Cristo

CuriosArte: La violenta notte che fece impallidire Cristo CuriosArte: La violenta notte che fece impallidire CristoFurono i nazisti a chiamare Kristallnacht l’insieme delle violenze verificatesi la notte tra il 9 e il 10 novembre 1938. L’espressione aveva, in origine, una finalità riduttiva, come se a subire la violenza organizzata fossero state solo le vetrine dei negozi. In effetti, almeno 7500 esercizi commerciali furono oggetto di atti vandalici e devastati. Ma la notte dei cristalli non si esaurì affatto nella distruzione dei negozi. Migliaia di case furono aggredite e saccheggiate, così come almeno 267 sinagoghe vennero incendiate o distrutte. I vigili del fuoco avevano l’esplicito ordine di non intervenire, se non nei casi in cui fossero minacciate delle case di tedeschi ariani.

Secondo il resoconto ufficiale della polizia nazista furono uccisi 91 ebrei. Moltissimi altri si suicidarono quella notte o nei giorni immediatamente seguenti. Circa 30 000 furono condotti a Dachau, Buchenwald e in altri lager. Il loro soggiorno fu breve ma estremamente umiliante e brutale.

Chagall dopo la Notte dei Cristalli dipinse la ‘Crocifissione Bianca’. Il quadro è tuttora un grido soffocato contro la follia nazista e di tutti gli estremismi.

“Non hanno mai capito chi fosse veramente questo Gesù. Uno dei nostri rabbini più amorevoli che soccorreva sempre i bisognosi e i perseguitati. Gli hanno attribuito troppe insegne da sovrano. È stato considerato un predicatore dalle regole forti. Per me è l’archetipo del martire ebreo”. Chagall, pittore russo di origine ebraica racconta attraverso i suoi suggestivi dipinti la terribile epoca in cui è vissuto e quel tragico periodo macchiato dalle stragi razziali della Seconda Guerra Mondiale.

“È quanto ho compreso quando ho utilizzato l’immagine per la prima volta […]. Ero sotto l’influenza dei pogrom. Poi l’ho dipinto e disegnato nelle raffigurazioni dei ghetti, circondato dai tormenti ebraici, da madri ebree che corrono terrificate tenendo in braccio dei figlioletti”, le parole dell’artista sono gocce di fuoco che cadono sulle nostre coscienze.

Nella sua Crocifissione bianca, realizzata nel 1938, ha raffigurato in maniera inusuale una commistione tra religione cristiana e religione ebraica. Un grande crocifisso bianco, inchiodato a una gigantesca croce a forma di Tau, campeggia al centro della tela. Cristo è il simbolo del dolore di Israele, di un dramma vissuto tra le macerie, causato dalla follia devastatrice dell’uomo e dalla sua violenza, simbolo della tragedia del mondo, di coloro che subiscono oltraggi, violenze, prigionia, morte.

Attraverso riferimenti culturali e simbolici il  pittore esprime le sofferenze del popolo ebraico in un momento che precede di soli pochi mesi la Shoah. Le tonalità bianco-grigiastre, a tratti squarciate dal contrasto dei colori giallo-rossastri, creano un’angoscia spettrale, un intenso senso di tragedia. Cristo appare addormentato sulla croce col volto reclinato, gli occhi socchiusi. L’iscrizione I.N.R.I. (Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum) compare dietro il suo capo, avvolto da una nuvola bianca, scritta in rosso sangue in lettere gotiche che rimandano ai pamphlet antisemiti dei nazisti, e poi riscritta anche per esteso, in lingua ebraica.

Un fascio di luce bianca, accecante, fa emergere il corpo del crocifisso, avvolgendolo e sostenendolo.

Cristo, cinto dal tallit, scialle rituale della preghiera, porta sul capo un panno, invece che la corona di spine. Ebrei in fuga, scene di distruzione, saccheggi, disperazione lo circondano descrivendo in un crescendo di ferocia inaudita tutta la violenza nazista.

I pallidi colori del quadro parlano di morte. Fiamme lambiscono una sinagoga distrutta. Un fuoco acceso da un uomo in divisa e stivali neri. L’arca dell’Alleanza è spezzata, un fumo grigio si solleva da un rotolo della Torah che sta bruciando e i libri di preghiera sono buttati nel fango. Tutto sprofonda, case capovolte e incendiate, sedie rovesciate, tombe profanate. Una donna fugge con il bambino tra le braccia. Un vecchio attraversa le fiamme che si sprigionano dalla Torah, un altro ebreo porta in salvo un rotolo ancora intatto. Un uomo vacilla umiliato con una targa bianca appesa al collo. Soldati in preda alla disperazione si sporgono stremati da una barca. Altri chiedono aiuto agitando le mani in alto. Soldati dell’Armata rossa irrompono lontani dalla sinistra del quadro.

Tre rabbini e una donna sospesi sugli incendi come angeli smarriti sembrano danzare una preghiera nel cielo annerito dal fumo, da nubi che solo il fascio di luce bianca può lacerare. Una danza macabra, che si tramuta in un silente pianto di dolore. Il crocifisso diventa simbolo delle atrocità della storia. Le fiamme profanano il fascio di luce bianca, rifrangendosi sul corpo di Cristo.

Ai suoi piedi, c’è la menorah il candelabro ebraico a sette bracci.

Ma l’orrore provocato da questa apocalisse nazista non può prendere per sempre il sopravvento. La tragedia appare filtrata dallo sguardo di Chagall che davanti all’immane dolore sembra intonare una preghiera. Nel mondo ebraico la figura di Cristo è controversa, ma per Chagall è simbolo del martirio degli ebrei.

Una grande scala è appoggiata contro la croce. Forse un invito a scendere da essa, per porre fine alla violenza e alla sofferenza.

La bellezza di Dio diventa la testimonianza di chi incarna una speranza contro il massacro di un popolo.

 

 

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